Voce alle donne: dal 1861 al 1946 i passi per la conquista al diritto di voto
Il voto alle donne significa affermare e sancire che le donne sono pienamente cittadine, al pari degli uomini. Sono passate solo 7 decadi da quando le italiane hanno raggiunto questo traguardo, hanno potuto esprimere il proprio voto ed essere elette. Ciò che oggi diamo per scontato è stato frutto di tante lotte che non dobbiamo assolutamente dimenticare.
Non è facile racchiudere in poche righe il cammino delle donne italiane per i diritti di cittadinanza. Si tratta di una strada lunga e tortuosa, fatta di piccoli tasselli, che piano piano ci hanno portato ad aver voce. La lotta per il suffragio femminile attraversa l'intera storia dell'Italia unita.
Le italiane iniziarono a rivendicare il diritto al voto nel 1861, chiedendo l'estensione a tutte le donne di tutti i diritti che erano già concessi nei territori in cui vigeva il codice austriaco (era previsto il voto per procura. Non si approdò a nulla e quindi le "emancipazioniste" diedero vita al movimento suffragista italiano.
Ricordiamo la figura di Elisa Agnini Lollini http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/elisa-agnini-lollini/ che fu attiva anche nel Comitato pro suffragio.
Nel 1906 i comitati pro voto (con una petizione di Anna Maria Mozzoni, sottoscritta da oltre 10.000 donne) promossero l'iscrizione delle donne aventi i requisiti di censo e capacità imposti dalla legge alle liste elettorali, appellandosi al fatto che lo Statuto Albertino non vietasse esplicitamente il voto alle donne.
Tutte le richieste venivano bocciate dalla magistratura. Vi fu un'unica eccezione, quella della Corte d'Appello di Ancona, presieduta da Ludovico Mortara, basandosi sul fatto che lo Statuto prevedeva che uomini e donne dovessero pagare le tasse, senza eccezioni. La Cassazione di Roma emise una sentenza che dichiarò inammissibile l'iscrizione delle donne alle liste elettorali, valutando che lo Statuto non aveva ritenuto necessario specificare l'esclusione delle donne, in quanto la considerava implicita.
Nel 1912, anno dell'approvazione del suffragio universale maschile, Anna Kuliscioff dichiarò: "Ormai l'italiano per essere un giorno cittadino non ha che una sola precauzione da prendere: nascere maschio". I tempi non erano maturi? A giudicare da certe affermazioni forse sì. Giolitti sosteneva che "la donna insomma era in un certo modo verso l'uomo ciò che è il vegetale verso l'animale o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostenta da sé". La legislazione dell'epoca sottometteva le donne, equiparandole ai minori, nella società, nella famiglia e nel lavoro.
Le fondamenta della concreta realizzazione del suffragio femminile furono poste con la promulgazione del decreto legge luogotenenziale del 25 giugno 1944, n. 151, con il quale si stabiliva che alla fine della guerra si dovesse eleggere una Assemblea Costituente a suffragio universale diretto e segreto, per scegliere la nuova forma di Stato e preparare la nuova Carta costituzionale.
Uomini e donne erano stati privati dei diritti politici durante il Ventennio, c'era un'intera generazione cresciuta senza poter esercitare questi diritti e senza conoscere altre formazioni partitiche al di fuori di quella fascista. C'era da "alfabetizzare" un intero popolo alla politica, alla partecipazione, all'espressione delle proprie istanze, alla democrazia rappresentativa. Ancora più importante diventava la formazione delle donne, escluse da sempre, ritenute non idonee alla politica e alla vita pubblica.
Segregate per anni nel ruolo di madri e spose dal Duce, che inizialmente le aveva illuse con la legge Acerbo che dette il voto alle amministrative solo ad alcune categorie di donne: quelle decorate, alle madri dei caduti, quelle che avevano studiato. Ricordiamoci però che le libere elezioni furono soppresse.
Nel 1944 venne fondata a Roma l'Unione donne in Italia (Udi), tuttora attivissima e impegnata, per riunire donne di diverso orientamento politico e spingere le italiane alla partecipazione, aiutando le nuove elettrici. L'Udi nacque su iniziativa di alcune esponenti dei gruppi di difesa della donna (GDD) tra le quali Marisa Rodano, Rita Montagnana, Giuliana Nenni. L'obiettivo era convincere quante più donne dell'importanza di andare a votare: tutto era da ricostruire, anche la democrazia, la voglia di impegnarsi era immensa. Togliatti stesso intuì l'importanza di un apporto attivo delle donne, senza il quale non si poteva avviare una ricostruzione in senso democratico del Paese. Bisognava creare nuovi luoghi politici di partecipazione civile.
Successivamente anche le donne cattoliche decisero di fondare una propria organizzazione, il Centro italiano femminile (Cif). Queste due associazioni formarono il Comitato pro voto (ricordiamo l'opuscolo "Le donne italiane hanno diritto al voto", redatto dall'insegnante e partigiana Laura Lombardo Radice), nell'ottobre del 1944 e presentarono al CLN una petizione per la concessione del diritto di voto alle donne, ricevendo in risposta un impegno formale.
La questione arrivò all'esame del Consiglio dei ministri a fine gennaio 1945 e nonostante le perplessità di repubblicani, liberali, azionisti, si promulgò il decreto luogotenenziale n° 23 (del 1° febbraio 1945, il decreto Bonomi) che prevedeva il suffragio attivo, con esclusione delle prostitute schedate che esercitavano fuori dalle case chiuse.
Per la concessione dell'elettorato passivo dovremo attendere il decreto n° 74 del 10 marzo 1946.
Le donne votarono per la prima volta alle amministrative del 10 marzo 1946, ma le elezioni politiche del 2 giugno 1946 (si votò contemporaneamente per il referendum monarchia/repubblica) assunsero un valore simbolico enorme. Oltre l'89% delle donne aventi diritto (più di 14 milioni) si recò a votare.
Così ricorda Giovanna Maggi di Gussola (Cremona): "La prima volta che sono andata a votare mi è sembrato di andare in paradiso, avrei abbracciato tutto il mondo lì dopo tanti anni di oppressione (...), sembrava di essere in un altro mondo, c'era aria di libertà. (Ardenti, 2006, pag. 55).
Alle 21 donne che vennero elette all'Assemblea Costituente (di cui solo 5 parteciparono alla commissione ristretta dei 75 che elaborarono la proposta di Carta) dobbiamo gli articoli che parlano della parità uomo-donna
(Artt. 3-29-31-37-48-51, alla socialista Merlin si deve la parità di genere inserita all’articolo 3).
Vorrei citare la risposta che Nilde Iotti diede a distanza di anni dall'approvazione della Costituzione, alla domanda su quale fosse secondo lei la più grande conquista realizzata dalla Carta del 1948. Iotti sottolineò la centralità dell’articolo 3 della Costituzione, quale criterio ispiratore del documento. "Il principio di eguaglianza a me sta particolarmente a cuore (…) è la sanzione solenne, costituzionale dell’ingresso delle donne nella vita politica. Avevano votato per l’Assemblea Costituente. La Costituzione con quell’articolo afferma il loro essere cittadine alla pari con tutti gli altri cittadini. Per me è un punto che fa della Costituzione italiana ancora adesso una Costituzione moderna".
Alle Parlamentari che seguirono dobbiamo alcune leggi importantissime, per citarne alcune: la Legge Merlin (1958), che poneva fine alla prostituzione di stato e alla divisione tra "donne per bene" e "donne per male", la tutela delle lavoratrici madri e i congedi parentali (1971), il divieto di licenziamento per causa di matrimonio (1963), l'accesso delle donne in Magistratura (1963), la riforma del Diritto di famiglia (1975), l'abrogazione della rilevanza penale della causa d'onore (1981), la violenza sessuale come reato contro la persona (1996) e tutte le norme sulla violenza di genere, la Legge 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza (1978), la legge Golfo-Mosca (2011).
L'allargamento del suffragio ha aperto la strada delle lotte per i diritti e per le pari opportunità. Ci auguriamo che queste lotte non si interrompano e non si affievoliscano.
Ma per questo dobbiamo crederci e continuare a trasmettere l'importanza dei diritti conquistati tanto faticosamente, per permetterci di avere voce e di poter essere cittadine. Rinunciare al voto, non votare significa non decidere, significa lasciare che altri decidano per noi.
L'astensionismo è un segnale di un indebolimento degli anticorpi democratici e non va sottovalutato. Pensare che la partecipazione attiva alla vita politica del proprio Paese sia inutile e ininfluente è un errore.
Non permettiamo a nessuno di riportarci al silenzio e di prendere le decisioni al nostro posto. Il futuro è ancora nelle nostre mani, lamentarsi non cambia le cose, il cambiamento passa per l'esercizio attivo dei nostri diritti di cittadinanza e per la nostra partecipazione viva alla vita politica. Non facciamoci inghiottire dall'indifferenza e dalla rassegnazione. Esiste la passione politica, quella autentica, quella praticata giorno dopo giorno, costantemente, non solo in occasione delle tornate elettorali. Dobbiamo portare la nostra visione di genere nelle Istituzioni, perché ce n'è bisogno, l'importante è che sia autentica e non posticcia. Non è il rosa fine a se stesso che risolve i problemi delle donne.
Oggi come allora non chiediamo una posizione "speciale", distinta, la riserva da specie protetta e privilegiata, bensì uguale dignità e valore rispetto agli uomini, parità, pari accesso e opportunità, una rappresentazione paritaria.
E soprattutto nessuno deve parlare al nostro posto o dettarci come e quando far sentire la nostra voce.