Guardiamoci intorno: lo svezzamento per molte mamme è un periodo di battaglia contro il bambino, che si consuma davanti ad un piatto di pappa. Mamme con l’ansia alle stelle perché il piccolo rifiuta tutto, che devono inventarsi giochi e distrazioni e ficcare il cucchiaio in bocca a tradimento, bambini che risputano tutto, conta dei bocconi che sono riusciti ad arrivare a destinazione…
Possibile che debba essere questo strazio??? Avete mai visto un gattino o un cagnolino inseguito dalla mamma col boccone di cibo tra le fauci? O mamma mucca che cerca di convincere il vitello a ingurgitare un altro boccone di fieno? Nessun altro animale si sognerebbe mai di dover forzare il cucciolo a mangiare. Mangiare è un istinto di sopravvivenza. Come mai allora noi facciamo tutta questa fatica?
La risposta, in realtà, è incredibilmente semplice. Questo succede una buona parte delle volte perché si comincia ad offrire il cibo troppo presto. Quindi la domanda cruciale è:
I bambini hanno bisogno di solo latte materno alla nascita. Per l’esattezza tutti i Mammiferi quando nascono hanno a disposizione questo alimento speciale per loro, fornito direttamente dalla mamma, dal suo seno.
Questo sistema ci accomuna a tante altre specie anche diversissime dalla nostra, basti pensare ai cetacei (delfini, balene, ecc) o ai quattrozampe come cani, gatti, elefanti o zebre. Ogni specie produce il latte “specie-specifico” perfettamente adattato dalla Natura in milioni di anni di evoluzione, appositamente per “quel” cucciolo. Ovviamente noi non facciamo eccezione.
Poi a un certo punto, tutti i Mammiferi iniziano a mangiare altro, diverso a seconda della specie (erbivora, carnivora, o onnivora), e delle abitudini alimentari, luogo dove vive, stagione in cui si trova.
Dopo un certo lasso di tempo in cui il cucciolo prende un po’ di quello e un po’ di quell’altro, vecchio seno e novità cibo, smette definitivamente di poppare. Per tutti i Mammiferi funziona così, essere umano incluso.
Quando è il momento per iniziare a dare qualcosa di diverso dal seno materno?
Questo momento è diverso da specie a specie, e dipende da una serie di fattori legati allo schema di sviluppo di quella specie. In pratica, la Natura attende che il cucciolo sia sufficientemente cresciuto e maturato, in particolare per quanto riguarda il sistema gastrointestinale e lo sviluppo psicomotorio.
Quando questo avviene, cioè il cucciolo è pronto fisiologicamente a questa novità, mamma gatta, o delfina, o cavalla, o orsa, non deve impegnarsi e ingegnarsi per convincere il piccolo (o *i* piccoli) a sperimentare quella roba nuova strana e tanto diversa dal seno di mamma. Semplicemente, mamma e cucciolo lo fanno.
Generalmente in natura è il cucciolo che “ruba” qualcosa dal cibo che stanno mangiando i genitori e il resto del branco, a volte direttamente dalla bocca di mamma. Oppure la madre che prende un pezzo del suo cibo e lo offre ai piccoli. Tutto qua, senza patemi.
La condizione necessaria però è che sia il momento giusto, cioè quello in cui fisiologicamente il bambino (o il cucciolo) è pronto per questo passo nella sua crescita.
Su quale sia questo momento purtroppo negli ultimi 100 anni si è fatta un po’ di confusione.
Per esempio nella prima metà del ‘900 alle mamme si iniziò a dire che si poteva dare ai bambini qualcosa di diverso anche a 3 mesi o addirittura prima, 2 mesi, 2 mesi e mezzo. Si disse che nel latte materno non c’era tutto quello che serviva, che i bambini necessitavano di integrazioni, e la pubblicità dei primi alimenti per l’infanzia, in assenza di leggi i difesa dei “consumatori” (concetto allora ancora lontano), martellavano le neomamme sui miracoli che avrebbero potuto ottenere con i loro cibi “arricchiti”, “moderni”, tecnologici.
La donna che sempre più spesso trovava lavoro fuori casa e che rivendicava la sua libertà e il suo spazio, aveva un motivo in più per accelerare il distacco dal seno. Immaginate poi per una donna che era passata dalla fame di una o due guerre mondiali che effetto potevano avere queste promesse del marketing (effetto che purtroppo ancora viene sfruttato dalle ditte produttrici di latte artificiale nei Paesi in via di sviluppo con esiti spesso drammatici per i bambini)!
Ma non c’era nessuna prova scientifica di quelle promesse, e del fatto che i bambini fossero pronti ad assimilare cose diverse dal latte a quell’età.
Quando la scienza ha iniziato a raccogliere davvero le prove scientifiche, man mano con molte resistenze abbiamo dovuto prendere atto del fatto che quei bambini erano stati svezzati troppo presto.
E ora?
Da qualche anno, ma neanche troppo, l’OMS ha voluto (o dovuto) mettere una parola definitiva sulla diatriba che ormai da qualche decennio verteva su “4 o 6 mesi?”. Le raccomandazioni attuali sono state recepite dalla maggioranza degli Stati, Italia compresa, così come dalle organizzazioni mediche e pediatriche, come in Italia per esempio la Società Italiana di Pediatria e l’Associazione Culturale Pediatri solo per nominarne due.
Queste raccomandazioni e organismi sono concordi sull’indicare come età giusta per i primi assaggi i 6 mesi compiuti, perché - come dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità - iniziare prima non offre alcun vantaggio a mamma e bambino, ma piuttosto li espone a una serie di rischi.
Perché allora anticipare un passaggio e renderlo più difficile e potenzialmente dannoso per il bambino, quando abbiamo la cosa più semplice e perfetta a disposizione?
Eppure, ci sono mamme per le quali svezzare è un processo sereno, in discesa, senza tanti drammi. Generalmente queste mamme sono anche quelle che iniziano più tardi e osservando i segnali del bambino.
Nonostante però i dati scientifici siano inequivocabili, come anche i messaggi che ci mandano i bambini, per cambiare la cultura ci vuole del tempo. Potreste perciò incontrare qualcuno che vi dirà che dovete assolutamente iniziare a 4 mesi altrimenti il bambino morirà di fame e carenze nutrizionali gravi… oltretutto c’è ancora un martellamento culturale che si rifà a quanto si diceva 60 anni fa, da parte delle nonne attuali per esempio, che ovviamente non sono tenute ad “aggiornarsi” sulle linee guida di nutrizione infantile…
Ancora oggi quindi c’è una discrepanza nei consigli dati alle mamme, che – come mi riferiscono spesso o scrivono sui social network – si sentono dire di iniziare a dare la frutta a 4 mesi, o addirittura 3 mesi e mezzo.
E per finire c’è il marketing delle case produttrici di alimenti per l’infanzia, che hanno tutto l’interesse economico di continuare a ignorare le direttive dell’OMS e le indicazioni scientifiche dei 6 mesi compiuti, e continuano a scrivere sui vasetti di omogeneizzati “4-6 mesi”.
Cosa deve fare allora la mamma confusa da tutte queste discrepanze? A chi dare retta?
Bè, a me piace sempre documentarmi un po’ su tutto quello che faccio e visto che sono mamma anche io, soprattutto su ciò che riguarda i miei figli, per cui il primo suggerimento che vi darei è: anche se non siete convinte di cosa vi dico io, cercate informazioni.
Ascoltate più pareri per formarvi un'idea più completa.
Controllate le fonti, soprattutto, perché spesso le informazioni che arrivano alle mamme sono sponsorizzate da chi ha interessi economici in quel campo: preferite quelle che vengono da fonti disinteressate. E poi naturalmente quanto arriva dalle organizzazioni di sicura affidabilità, come appunto l’OMS, le associazioni di categoria mediche, le associazioni che lavorano in questo campo.
Naturalmente ognuno è libero di fare quello che vuole, a casa sua, ma mi piace pensare che le scelte – qualunque esse saranno - siano davvero “scelte informate”.
Nel prossimo articolo vi parlerò poi dei segnali fisiologici che ci manda il bambino per dirci che è “pronto”.
Buon pranzo!
Martina Carabetta, IBCLC
Latte & Coccole – Roma
www.latteecoccole.it
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