Anche qui in Svizzera il calcio è un sport estremamente popolare, nonostante la grande concorrenza di altre attività più tipicamente “nordiche” quali lo sci, l’alpinismo, le camminate in montagna, l’hockey e il pattinaggio su ghiaccio.

Esistono numerose scuole calcio che spesso hanno all’attivo lunghissime liste d’attesa per l’ammissione dei piccoli appassionati che vorrebbero dedicare parte del loro tempo giocando un po’ più seriamente che nel cortile di casa.

In molti casi, tra l’altro, gli aspiranti calciatori vengono sottoposti ad un vero e proprio periodo di prova, e solo successivamente eventualmente ammessi in squadra, con tutti gli onori e gli oneri che ne derivano. A chi non riesce a superare la selezione non resta che ritentare altrove, o rassegnarsi e cambiare sport.

Sembra che questa politica di ammissione molto restrittiva sia anche determinata dal numero insufficiente di allenatori abilitati ad insegnare ai più piccoli ma, in verità, c’è il ragionevole sospetto che le motivazioni effettive siano un pochino diverse e discendano dalla forte connotazione competitiva che caratterizza l’educazione dei bambini, a partire dal sistema scolastico, così come di tutte le attività in cui sono coinvolti da una certa età in poi.

Se, infatti, nei primi anni di vita, il sistema pedagogico è estremamente “soft”, tanto che l’accesso alla scuola è spostato ai 4/5 anni, contro i 3 dell’Italia e di quasi tutta Europa, e che nei primi due anni di Kindergarten le attività sono quasi esclusivamente di tipo ludico (a livelli di complessità equiparabili a quelle del nostro nido!), da un certo punto in poi, il trend cambia drasticamente.

Tutto sembra finalizzato a far emergere ad ogni costo “il migliore”, anche a scapito di chi è dotato di talenti normali e privo di spiccate capacità da “piccolo genio”, o addirittura avere qualche difficoltà, ragion per cui avrebbe necessità di essere seguito in modo un po’ più personalizzato.
nche le discipline sportive, dunque, sembrano essere fortemente influenzate da questo imprinting: se sei bravo e ce la fai, bene, altrimenti è consigliabile che ti accomodi altrove ;-)

A me, in tutta onestà, questa cultura educativa lascia abbastanza perplessa, non fosse altro che, alla tenera età di 6, 7, 8, o anche 10 o 14 anni, oltre al sacrosanto diritto di GIOCARE, credo che un essere umano abbia ancora tanta strada di fronte a sé, che gli sviluppi e i cambiamenti della persona siano assolutamente aperti ed imprevedibili, per non considerare poi che, non sempre e necessariamente, si ottiene il meglio da una persona spingendola forzatamente ad elevati livelli di competizione.

Tornando allo sport, e al calcio in particolare, c’è una cosa però che qui mi piace tantissimo. Noi abitiamo nelle vicinanze dello stadio e spesso vediamo le persone mentre, la domenica o quando ci sono le partite, con maglia e sciarpa bianco-azzurra, si recano allo stadio (rigorosamente col tram o a piedi!): ci vanno le famiglie, mamme, papà e (numerosa) prole, ci vanno i bambini con gli allenatori, ci vanno i ragazzini da soli.

Ci vanno le mamme coi figli (e con le figlie): e non stiamo parlando di figli adolescenti, ma di bambini di 4 o 5 anni. 

 

(Immagine tratta dal sito www.csi.milano.it)

Ritratto di Carlotta G

Posted by Carlotta G

Da sempre curiosa di altre culture e abitudini, mamma espatriata con famiglia a Zurigo dal (quasi) lontano 2013. Blogger a tempo perso, studentessa suo malgrado di lingua teutonica e insegnante di Yoga, dove finalmente è solo se stessa e prova ogni tanto a indicare anche agli altri la possibilità di essere solo se stessi.
Da secoli si ripromette di scrivere un libro, forse, prima o poi. Non sullo yoga, ma sulla capacità di "vivere altrove". Intanto scrivo della mia vita a nord delle Alpi anche sul mio blog personale La vita a modo mio