Non avevo mai letto Primo Levi. Di "Se questo è un uomo" conoscevo solo la poesia.
Poi, un mese fa, cercavo un libro per mio figlio e mi sono imbattuta in questo classico e ho pensato di regalarglielo. Come faccio a regalare un libro che non ho letto e consigliarne vivamente la lettura? E, dunque, ho sentito il dovere di leggerlo.
Questo libro ha dato delle risposte a molte delle domande che mi ero sempre fatta su come fosse stato possibile sopravvivere in quelle condizioni, su come fosse stato possibile che un essere umano resistesse a quelle condizioni, per quale motivo non ci furono rivolte o insurrezioni all'interno dei campi e molte altre domande.
Se da un lato ho trovato risposte, dall'altro si sono aggiunte altre domande, alcune inquietanti e che solo il futuro che subiremo o che sceglieremo di costruire per noi e soprattutto per i nostri figli e nipoti, darà delle risposte certe.
“…A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con estrema coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segno di pericolo…” Primo Levi
Ecco che questa frase ha dato forma e senso alle paure che serpeggiano in me e in molte altre persone, paure che nascono dal volto duro di questa Europa, l'Europa del razzismo, del populismo, delle destre, della paura dello straniero, della crisi economica, dei muri che si innalzano (di nuovo) dei fili spinati che marcano vastissime aree per lasciare fuori esseri umani e non per chiuderli dentro, è vero, ma cosa succede se tutto intorno è muro e filo spinato?
Succede che alla fine sono rimasto fuori circondato da filo spinato e muri, succede che sono rimasto chiuso dentro. Chiuso nel nello spazio che hanno deciso per me. Nel ghetto, nel campo, sull'isola, nel centro di "accoglienza/smistamento/identificazione" .
Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con estrema coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano.
Già.
A volte mi chiedo a che punto siamo in questo processo in cui, uomini, donne e bambini che vengono caricati, manganellati, presi a lacrimogeni, lasciati al freddo,alla sporcizia, sotto la pioggia e nel fango, solo perchè di lì non possono passare. A che punto siamo di questo processo di disumanizzazione se tutto questo mi viene mostrato alla tv mentre metto a tavola un pollo arrosto per me e i miei cari. E lo guardo stasera questo spettacolo e poi domani sera e domani ancora, in un crescendo di violenza e crudeltà che ormai manco ci faccio caso e, mentre metto in bocca una coscetta di pollo, un bambino, a pochi km da casa mia, cade durante la corsa inseguito da un reparto di polizia insieme a tanti altri disperati e rimane calpestato, una due tre, quattro volte. E, nel mentre, aggiungo del sale alle mie patate che sono venute un po' sciape, mentre ormai è già successo che tutto ciò non è più una notizia, ormai è la normalità. Come se non fossero nè uomini, ne donne, ne bambini, quelli lì, ma cose.
Quando ormai ero verso la fine del libro, io e la mia amica avevamo già deciso di fare un viaggio. Entrambe abbiamo smesso di fumare e volevamo farci un regalo con i soldi risparmiati dalla sigarette. Lei voleva andare a Berlino, io volevo vedere una città dell'est per fare una esperienza nuova, quando ho visto che da Cracovia raggiungere Auschwitz è solo un'ora, gliene ho parlato e lei ha accettato.
Il giorno dopo all'arrivo a Cracovia, siamo partite per Auschwitz con un tour operator con guida italiana. Durante il viaggio ero alla fine del libro e un'ansia crescente mi stava attanagliando. Ero pentita, ho iniziato ad avere paura.
Poi è iniziato il macabro tour, pensavo di sapere tutto sui campi, sui nazisti e invece "nuove" informazioni turberanno i miei pensieri per mesi. Avevo cercato di prepararmi psicologicamente, di farmi forza, di mettere una distanza emotiva, ma niente... l'impatto è atroce e ad ogni parola della nostra guida, ad ogni immagine, ogni racconto, era sempre peggio, sicché ho dovuto fermarmi dopo soli 20 minuti dalla partenza, mi sono messa in un angolo di un Block e ho iniziato a piangere a dirotto e solo quando ho finito sono riuscita a riprendere il tour fino a Birkenau.
Guardate, non ho parole per raccontare quello che ho visto, quello che ho respiarto, quello che ho saputo, sembrava solo ieri. E, in fondo, storicamente parlando, lo è. E' stato ieri. E molto avrei da aggiungere sulla giornata della Memoria, sull'ipocrisa di tutti quelli che ne fanno una passerella anche nello stesso Paese in cui un simile orrore si è sviluppato, cioè la Polonia stessa, ma non ho voglia di parlarne in questo post, non ho voglia di discutere, di polemiche o cazzate varie, voglio solo dirvi che dopo quello che visto, faccio bene io ad avere paura del futuro di questa Europa e vi consiglio, per quanto sia atroce, di andare a fare la vostra visita, coi vostri figli in quei luoghi orribili (con la guida!!!) e quando uscirete di lì farete attenzione anche a un certo tipo di linguaggio, ve lo assicuro.
Anzi, me lo auguro.
Estrella
Foto di copertina da Il Fatto quotidiano