25 Novembre - Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Scriviamo e raccontiamo un altro futuro, il destino delle donne di oggi e domani non è predestinato. Rivendichiamo una vita libera dalla violenza.
La violenza machista contro le donne in Italia e nel mondo ha proporzioni enormi, ma per troppe persone è ancora un fenomeno inevitabile, come se fosse un destino per chi nasce femmina, una specie di predestinazione ad un'alta probabilità di incontrare la violenza sul proprio percorso di vita. In fondo è anche il pessimo messaggio dato dall'ultimo spot Rai, in cui una bambina pronuncia la frase: "da grande sarò in ospedale perché mio marito mi picchia".
Come se non ci fosse scampo. Una violenza predestinata da tramandare di generazione in generazione, con l'aggravante che in questo caso si adopera una bambina per veicolare questo messaggio nocivo. Il patriarcato ringrazia.
La violenza come un macigno che pesa sul nostro futuro in varie forme.
In Italia una donna su tre è vittima di violenze fisiche, psicologiche e sessuali. Sono oltre sei milioni le donne che hanno subìto violenza nell’arco della loro vita.
È del 2013 la prima legge (15 ottobre 2013, n. 119) in materia, contenente disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere.
Poi a maggio 2015 è arrivato il Piano straordinario nazionale di contrasto alla violenza di genere, previsto dalla legge 119.
A settembre 2016 si è riunita per la prima volta la Cabina di regia interistituzionale (il 22 novembre l'ultima riunione) per l'attuazione del Piano straordinario.
Nella legge di stabilità sono previsti 60 milioni da destinare al contrasto della violenza sulle donne attraverso il potenziamento dei centri antiviolenza, al piano contro la tratta degli essere umani e all'implementazione dell’occupazione delle donne attraverso gli incentivi all'imprenditoria femminile. Intanto resta la situazione difficile che vivono tanti centri antiviolenza italiani e le difficoltà che negli anni hanno avuto i fondi per arrivare a destinazione, come ha evidenziato anche la Corte dei Conti qui.
Difficile ancora un monitoraggio del fenomeno. Da poco è partito l'Osservatorio nazionale (qui il lancio AdnKronos del 22 novembre) lo ha annunciato in un tweet la ministra delle Riforme con delega alle Pari opportunità Maria Elena Boschi: "Si è insediato ieri l'Osservatorio nazionale contro la violenza di genere. Stanziati fondi per sostegno alle vittime e progetti educativi". Monitorare significa avere il polso reale della situazione, capire a fondo il problema e soprattutto non rischiare di finanziare progetti e associazioni che non hanno niente a che vedere con il contrasto alla violenza o che non adottano un approccio idoneo ad aiutare le donne.
Ogni anno perdono la vita tante donne per mano di un uomo, compagno, marito, ex: la maggior parte dei femminicidi e delle violenze avviene in ambito domestico, familiare. Ma sappiamo che accadono in ogni luogo, al lavoro, a scuola, per strada, nelle relazioni quotidiane, negli ambulatori e negli ospedali, nella vita reale e virtuale.
La donna viene ancora considerata una proprietà, un'appendice maschile, un elemento sub-umano sul quale esercitare dominio e controllo. Non siamo marionette o bamboline. Per alcuni uomini è inconcepibile che la donna possa avere una vita autonoma, indipendente da loro. La nostra cultura è intrisa di stereotipi, percezioni distorte riguardo alle relazioni, quasi come se il possesso, la gelosia, fossero segnali e comportamenti sani e non sbagliati. Valiamo sempre qualcosa di meno, siamo sottopagate, vediamo i nostri diritti sempre un po' in secondo piano, siamo usate, strumentalizzate, dobbiamo essere welfare gratuito e possibilmente stare al nostro posto, al massimo essere fedeli esecutrici di input maschili.
Ci vorrebbero così, ci vorrebbero preferibilmente silenziose e rassegnate ai nostri ruoli di genere, ma da tempo abbiamo deciso di non essere ciò che gli altri si attendono da noi, da tempo abbiamo rivendicato la nostra autonomia, la nostra libertà di decidere come essere, come vivere, come agire. Da tempo lottiamo affinché le nostre vite siano finalmente libere da ogni tipo di violenza, molestia, sopruso e discriminazione.
Da tempo rivendichiamo soluzioni strutturate, concrete, non promesse, parole o simboli vuoti. Il fenomeno della violenza è complesso e come tale va affrontato, con un approccio a 360°, iniziando a tradurre in pratica, passo passo, gli indirizzi della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica). Perché il punto fondamentale è che la violenza nei confronti delle donne è violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne. Stiamo parlando di: "tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata".
Quando parliamo di “violenza contro le donne basata sul genere” ci riferiamo a "qualsiasi violenza
diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato".
Abbiamo ratificato la Convenzione nel 2015 e ci siamo impegnati come Stato a varare le "misure legislative e di altro tipo necessarie per esercitare la debita diligenza nel prevenire, indagare, punire i responsabili e risarcire le vittime di atti di violenza commessi".
Ci siamo impegnati ad adottare "le misure legislative e di altro tipo necessarie per predisporre e attuare politiche nazionali efficaci, globali e coordinate, comprendenti tutte le misure adeguate destinate a prevenire e combattere ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della presente Convenzione e fornire una risposta globale alla violenza contro le donne."
Impegni che dobbiamo ottemperare, non basta apporre una firma.
Il Grevio (un gruppo di esperti indipendenti, acronimo di Group of experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence) ha il compito di vigilare e valutare, attraverso rapporti periodici forniti dagli stati, le misure adottate da ciascun Paese firmatario, ai fini dell’applicazione concreta della Convenzione. L'Italia dovrà rispondere a un questionario elaborato da questo gruppo, che toccherà i diversi capitoli previsti dalla Convenzione. Il nostro Paese passerà sotto la lente del Grevio, che esaminerà statistiche, politiche integrate, fondi, formazione degli operatori pubblici, pene agli autori dei maltrattamenti, azioni di prevenzione, protezione e azioni di compensazione che lo stato predispone per le vittime.
Le strategie e i metodi per affrontare il fenomeno devono tener conto delle peculiarità di ciascun contesto socio-economico-culturale, attraverso un irrinunciabile approccio di genere.
Tutti gli interventi necessari alla prevenzione e al contrasto di questa piaga devono essere multidisciplinari, multilivello e soprattutto occorre focalizzarsi sull'educazione, che serve a sradicare i fattori culturali all'origine della violenza.
Chiaramente il cuore di questo processo è la scuola, sin dalla prima infanzia, per costruire una cultura nuova fondata sul rispetto, per superare stereotipi, ruoli, gabbie e modelli distorti.
All'art. 12 della Convenzione si parla proprio della prevenzione, per non trovarci tra 10 anni allo stesso punto di oggi: le Parti si impegnano ad adottare "le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini." All'art. 14 leggiamo: "includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi."
Parlando di scuola dobbiamo focalizzarci sulle relazioni, affinché siano paritarie e basate sul rispetto reciproco e delle differenze. Spesso si mettono in atto comportamenti che sono indice di lacune di educazione affettiva. Come decifrare, elaborare, affrontare, gestire le emozioni, specialmente se si è in una fase della vita piena di cambiamenti?
Essere consapevoli, conoscersi, accettarsi, comprendere e rispettare gli altri, saper affrontare gli scogli e le maree emotive non è cosa da poco e la scuola deve sostenere questi processi, se vuole alimentare una crescita a 360° dei futuri adulti. Perché la famiglia non è sufficiente.
Non si possono lasciare i bambini e i ragazzi da soli e senza strumenti, alla mercé dei soli istinti e modelli stereotipati secolari. Non da ultimo occorrerebbe lavorare sui contenuti dei libri di testo. Intanto siamo ancora in attesa delle linee guida del Miur per la prevenzione della violenza di genere e delle discriminazioni (qui una circolare sui contenuti).
Programmi e campagne sistematiche di sensibilizzazione, informazione, per far riflettere e veicolare messaggi in grado di cambiare mentalità e comportamenti.
Al contempo si richiede che vi sia una adeguata formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza. Cruciale è il ruolo del personale dei Pronto Soccorso e i protocolli di intervento messi in atto. Dal Cardarelli di Napoli, alla Mangiagalli di Milano (modello mutuato anche dal San Carlo Borromeo di Milano), ci sono vari tentativi a riguardo.
Si auspica che i futuri professionisti, medici, magistrati, avvocati, psicologi, insegnanti vengano formati adeguatamente.
I media hanno una grossa responsabilità e ruolo in questo cambiamento, ecco perché da tempo ci battiamo contro messaggi, linguaggio e pubblicità sessiste e violente.
Con la crisi economica siamo state proprio noi donne la parte che per prima ha subito dure ripercussioni, con il precariato che ha aggravato le nostre condizioni di vita.
Invito a leggere il libro di Olga Ricci, Toglimi le mani di dosso, Chiarelettere, che contiene una chiara analisi delle conseguenze della precarietà che rende maggiormente ricattabili e soggette al potere maschile tante donne che sperano in un contratto più stabile e che subiscono molestie e violenze nei luoghi di lavoro. In un Paese in cui la meritocrazia latita e ci sono altri canali e metodi per poter entrare, permanere e avere successo nel mondo del lavoro, sappiamo quanto diffuso sia il familismo e la rete di relazioni amicali o di altro genere. In situazioni di precarietà, contratti di pochi mesi, di nero e di tutele non sempre efficaci, le forme di violenza e di esercizio del potere maschile (differenze di potere) che vuole sopraffare e schiacciare le donne aumentano, con risultati ancor più pesanti in tempi di crisi e di incertezze. C'è anche una notevole difficoltà a denunciare simili atti, come si evince da questa indagine Istat.
Non facciamo finta che il precariato, le difficoltà a trovare un impiego stabile e l'assenza di tutele nel lavoro non producano effetti devastanti nelle vite delle donne. Siamo alla mercé del potere maschile e di un sistema aziendale da rieducare in senso paritario e che punisca concretamente e fortemente simili abitudini di prevaricazione e molestia. Le conseguenze sono pesanti, basta guardare le percentuali di chi ha cambiato lavoro volontariamente o ha rinunciato alla carriera dopo episodi di ricatti sessuali.
Si intuisce che la precarietà lavorativa può solo acuire i risultati di siffatti comportamenti maschili. Se i vertici delle organizzazioni aziendali non sanzionano adeguatamente questi atti, comprendendo i danni che essi causano, non avremo un miglioramento. I comitati etici devono funzionare e adoperare strumenti che agevolino la denuncia interna.
Anche nel mondo del lavoro si deve prendere coscienza delle conseguenze della violenza. Sono le donne a dover essere tutelate e sostenute, non essere penalizzate se denunciano. Dobbiamo pensare a tutelare anche chi vive situazioni di precarietà, chi lavora in microaziende o non ha contratti regolari. Perché precarietà e violenza per le donne spesso si intrecciano e diventano una bomba micidiale.
Il vento sta cambiando e qualcosa si sta "smuovendo" anche da noi.
In tutto il mondo le donne stanno guidando il cambiamento, stanno manifestando per rivendicare i loro diritti, perché la loro vita sia libera da ogni forma di violenza.
Sabato 26 novembre, insieme, inondiamo Roma per dire "Basta a ogni forma di violenza che soffoca le nostre esistenze", partecipiamo in tante e tanti alla manifestazione nazionale. Qui tutte le info. #NONUNADIMENO!
Ci manifestiamo contro le varie forme di violenza, perché il 26 sarà un punto di ripartenza per le lotte e le rivendicazioni delle donne di questo Paese, perché con i tavoli del 27 novembre si lavorerà a proporre e a scrivere una nuova pagina per l'affermazione e l'allargamento dell'autodeterminazione e dei diritti delle donne. Scriviamo insieme un destino diverso: il corteo, i tavoli del 27 e tutti gli incontri preparatori al 26 e post 27 saranno tasselli di questo progetto comune.
Insieme al gruppo Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi, abbiamo elaborato un contributo alla manifestazione di sabato.