Parlare con i gemelli

Le prime parole: una tappa che aspettavo da tempo. Ma che poi ho smesso di aspettare, specie quando qualcuno ha iniziato a dirmi “Ma i gemelli non parlano ancora?”. Quello che ho imparato in questi travolgenti 18 mesi è “dare tempo al tempo”. E avere pazienza: cioè, non ho imparato ad avere pazienza, anche se ho fatto dei grossi progressi, ma ho imparato che con i gemelli ce ne vuole tanta, tantissima.

Nel mio immaginario pre-materno c’era quel momento speciale in cui avrei sentito pronunciare per la prima volta la parola “mamma” e “papà”. Di certo non immaginavo che tra le prime parole ci sarebbe stata, con una certa insistenza anche “Peppa”. Poi, in realtà, c’è stato un susseguirsi di mamamamam e papapapa ad indicare un po’ di tutto, dal piatto al gatto, dalla palla alla nonna… Però è stato altrettanto emozionante.

Più di tutto, però, è stato intenso il momento in cui ho realizzato che i bambini capivano tutto (o quasi) quello che veniva detto loro ed erano capaci, se lo volevano, di rispondere adeguatamente andando a prendere un certo giochino, salutando o facendo una carezza. Così poco alla volta, i twins stanno diventando degli interlocutori con risposte, talvolta imprevedibili, ma sempre pertinenti. 
In auto facciamo lunghe conversazioni a base di versi di animali. Adesso ne imparano quasi uno al giorno con  una velocità e una capacità di reinterpretazione a dir poco commoventi. Il coccodrillo, ad esempio, batte le mani. E non è un caso, forse abbiamo risolto il dilemma di intere generazioni di piccoli appassionati dello Zecchino d’Oro.

In realtà, il tema del parlare è stato sempre un po’ una mia fissazione. L’avevo letto da qualche parte e poi ho visto video si, spassosi, ma un po’ inquietanti come questo.  

 

Temevo che i due sviluppassero una forma, incomprensibile, di twin talk,  Cryptophasia o linguaggio segreto tra gemelli. Poi avevo anche la testimonianza diretta di una coppia di gemelli in cui uno aveva ritardato al punto lo sviluppo del linguaggio tanto che la sorella gli faceva da interprete con il resto del mondo.

Alla fine, l’unico consiglio che ho trovato utile e che ho cercato di seguire è quello di parlare il più possibile direttamente a ciascun bambino. Non rivolgersi loro sempre con il plurale, non individuarli sempre come "i gemelli", chiamarli spesso per nome guardandoli fisso negli occhi, trovare dei momenti in cui stare da soli (di solito mentre uno dorme e l’altro no) e parlargli e leggere loro delle storie.

Il primo obiettivo, e il primo traguardo raggiunto, ormai diversi mesi fa, ma mai dato per scontato, era far capire loro i rispettivi nomi. Ero terrorizzata dal fatto che non li riconoscessero e rispondessero sia per l’uno che per l’altro.  Anche per questo sono contenta di aver scelto nomi diversi tra loro, con iniziali e suoni differenti.  Il prossimo step sarà riuscire a far pronunciare a ciascuno il proprio nome di battesimo. 
Ci stiamo lavorando, ma non è escluso che il risultato arrivi dopo “Susy pecora”.  

 

Ritratto di Erica Asselle

Posted by Erica Asselle

Giornalista e mamma di due gemelli, maschio e femmina, nati a febbraio del 2013. Vivo e racconto gioie e dolori di essere diventata all'improvviso una supermamma, senza superpoteri