La U-SET (uterine sperm egg transfer o transfer intrauterino di spermatozoi e di ovociti) non è in realtà una tecnica di fecondazione assistita nuova ma, riproposta recentemente da Katayama e collaboratori con alcune modifiche, ha suscitato molto interesse.
E' stata infatti usata con ottimi risultati per l'infertilità anovulatoria resistente alla normale stimolazione ovarica. Fu utilizzata per la prima volta da Ian Craft nel 1982.
Altri tentativi con questa tecnica riportano complessivamente un tasso di gravidanza a termine del 17%.
La U-SET consiste nel prelevare gli ovociti ed inserirli subito insieme agli spermatozoi nell'utero dove avverrebbe la fecondazione e si formerebbero gli embrioni che dopo alcuni giorni potrebbero impiantarsi.
Questa tecnica può presentare alcuni importanti vantaggi.
Anzitutto è più semplice e rapida perchè non prevede almeno due giorni di lavoro sui gameti e sugli embrioni in laboratorio.
Inoltre, il fatto che soprattutto gli ovociti e gli embrioni non vengano manipolati in laboratorio, può ridurre lo stress che subiscono in condizioni meno fisiologiche dell'utero. In effetti si parla di usare questa tecnica anche nei paesi in via di sviluppo che non possono organizzarsi per mancanza di biologi specializzati in fecondazione assistita.
In pratica la U-SET è come la GIFT, quella tecnica che mediante la laparoscopia si usava un tempo per inserire ovociti e spermatozoi nelle tube dove avveniva la fecondazione. La U-SET invece non richiede un intervento chirurgico come la laparoscopia . Un ulteriore vantaggio della U-SET può essere quello bioetico in quanto la fecondazione avverrebbe nel corpo della donna. La GIFT infatti è stata accettata dalla Chiesa cattolica.
I risultati di questo recente studio di Katayama sono stati buoni: 69% di gravidanze cliniche e 50% di gravidanze a termine con una sola trigemellare, risultati dunque certamente superiori a quelli dei tentativi più lontani nel tempo. Bisogna però dire che in questa serie recente di U-SET si trattava di pazienti con un’età media di 30,3 anni, senza problemi andrologici e con un’infertilità ovulatoria per policistosi ovarica che non rispondeva alle classiche stimolazioni ovariche.
Altri miglioramenti tecnici sono stati aggiunti da quello che si legge nel lavoro pubblicato di recente.
Potranno essere confermati i risultati di questa tecnica in casistiche più ampie?
Potrebbe essere utilizzata anche in altre cause di infertilità come quella tubarica?
Solo studi più approfonditi potranno rispondere a queste domande
Prof. Claudio Manna
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