Siamo un Paese senza memoria, o meglio che facilmente si lascia scivolare addosso le più grandi atrocità, voltando pagina al più presto, senza soffermarsi più di tanto a riflettere e ad approfondire i perché. Specialmente quando si parla di violenza contro le donne. Abbiamo sempre le stesse reazioni incredule, sentiamo ripetere sempre le medesime frasi e ci sembra di non essere mai usciti dal medioevo. Una violenza che le donne si vanno a cercare, con tanto di ribaltamento delle parti.
Si richiama la prostituzione, l'emarginazione, si dice che siamo sbandate, movimentate, con i grilli per la testa, si richiama sempre qualcos'altro, si richiama tutto fuorché i reali responsabili di una violenza. Insomma l'immaginario della donna tramandato nei secoli, perché in qualche modo è sempre colpa nostra. Rimuoviamo sempre l'attore principale.
Sono gli uomini che stuprano e uccidono le donne e su questo dovremmo restare inchiodati, non dovremmo allontanarci da questo dato. Così, nel susseguirsi degli episodi di violenza contro le donne, perdiamo la bussola e veniamo trascinati senza riuscire a intervenire “prima”.
L'indifferenza parte da una non totale presa di coscienza e di consapevolezza di quanto avviene. L'indifferenza non è solo di una singola comunità, ma dell'intero Paese, che non riesce ancora a focalizzare bene da dove nasce tutta questa violenza e odio per le donne.
Se non scorgiamo il nesso tra questi episodi di violenza aberrante, i tentativi di annientarci e tutte le situazioni in cui noi donne siamo ridotte a oggetti, siamo bersaglio di attacchi sessisti, non veniamo credute a sufficienza quando denunciamo ciò che siamo costrette a subire, facciamo fatica ad avere gli stessi diritti ed essere considerate al pari degli uomini, siamo tutti un po' responsabili dello status quo.
In questi giorni sono emersi altri dettagli sulla storia di una ragazzina, poco più che una bambina, di Melito Porto di Salvo stuprata per due anni (dai 13 ai 15) da nove compaesani, tra cui il figlio del boss locale, il figlio di un maresciallo dell'esercito e il fratello minore di un poliziotto.
La stessa età di Anna Maria Scarfò, la ragazza di San Martino, frazione di Taurianova, in Calabria. Era il 1999 quando iniziarono per lei violenze e stupri.
Per aver denunciato i suoi stupratori, tra cui alcuni mafiosi, si è ritrovata tutto il paese contro. Lei e la sua famiglia hanno subito minacce e violenze di ogni genere. Un iter processuale che si è concluso a inizio 2016 con la condanna definitiva dei suoi aguzzini http://www.strill.it/citta/2016/02/condanne-definitive-per-gli-aguzzini-di-anna-maria-scarfo/ .
Non si tratta solo quella parte consistente della comunità di Melito che diserta la manifestazione di solidarietà per una ragazzina stuprata per anni. La paura e l'indifferenza abitano ovunque. Non è un fatto da ricondurre semplicemente a una storia del Sud, in cui certi legami e una mentalità mafiosa hanno la meglio. Guardiamo come può essere diversa la reazione delle istituzioni locali.
Nel caso di Melito, il sindaco Giuseppe Meduri ha attaccato il Tgr Calabria, colpevole di aver diffuso giudizi a difesa degli stupratori e contro la ragazza, affermando che «Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci hanno offesi».
Si è dimostrato più preoccupato di difendere l'onore del paese piuttosto che la ragazza vittima dello stupro. Certo arriva anche qualche segnale di diversa tendenza, con la Regione Calabria e la città di Reggio Calabria che si costituiranno parte civile nel processo penale al fianco della ragazza.
Ma resta da lavorare laddove si è compiuta la violenza, in quella comunità, altrimenti non ci sarà stato un reale cambiamento, occorrerà spingere per una reale presa di coscienza e di responsabilità.
Nel caso della ragazza di 16 anni violentata lo scorso 27 giugno da cinque minorenni in un garage a San Valentino Torio, il sindaco di Sarno (dove vive la ragazza) Giuseppe Canfora, si è schierato sin da subito dalla parte della ragazza "Contatteremo la famiglia, non solo per farle sentire la vicinanza di tutta l'amministrazione, ma anche per darle tutto il sostegno umano e sociale di cui necessita. (…) Si deve fare giustizia, senza se e senza ma". Successivamente ha aggiunto che sosterranno le spese legali e che insieme alla Regione garantiranno assistenza concreta alla ragazza stuprata. (qui e qui)
In pratica, l'approccio dovrebbe sempre essere immediato, compatto, di condanna di certi episodi.
Non si tratta di una distrazione collettiva che non ha consentito di vedere chiaramente quello che stava accadendo. Ma di un senso di impunità diffusa, radicata. Perché il maschio può tutto, prende ciò che vuole, è un suo diritto, conta sul fatto che molti lo sosterranno nella sua condotta, sapranno gettare fango sulla ragazza, sa che il silenzio sarà un alleato.
Noi dovremmo “guastare” questo giocattolo maschile, dagli ingranaggi secolari. Noi dovremmo impegnarci a spezzare tutti i legami che proteggono questi individui, i loro sostenitori e la rete multilivello che cerca di allontanare il momento della verità e della giustizia. Dobbiamo smontare questa cultura e quel germe che porta a pensare che in questo contesto la giustizia è una chimera. Dobbiamo lavorare sulla prevenzione. Lo dobbiamo a tutte le donne e a tutti i bambini che subiscono violenze e spesso perdono la vita.
Dovremmo adoperare questo momento per riflettere seriamente e con uno sguardo allargato, aperto. La ragazza di Melito va sostenuta fino in fondo, perché non resti sola. Deve sentire che dalla sua parte ci sono tante persone, com’è accaduto ad Anna Maria.
Questa dovrebbe essere la prassi dappertutto, in ogni caso di violenza, è essenziale guardarci attorno e fare attenzione anche a ciò che avviene sui territori a noi più vicini, che non sono immuni da queste violenze.
Perché troppe donne in tutta Italia fanno fatica ad essere credute, aiutate e ad avere giustizia. Per non ritrovarci di nuovo a chiederci in che Paese viviamo, dove le donne subiscono violenza e vengono ammazzate e abbiamo ancora tentennamenti su come calibrare l'educazione di genere e di prevenzione della violenza nelle scuole. Questa deve essere la priorità. Per non dover più sentire che “Sono tutte vittime, anche i ragazzi.”
No, quando una donna viene stuprata è lei la vittima, i ragazzi, anzi gli uomini vista l'età, sono i carnefici. Per non dover più sentire battute becere su come siamo vestite e su come i nostri atteggiamenti invitino i poveri maschi a stuprarci, incapaci di contenersi.
Per non dover sempre spostare l'attenzione sulla madre (qui le riflessioni del Ricciocorno), alla ricerca di un facile capro espiatorio, che allontani da una responsabilità collettiva e condivisa. Manca la cultura del rispetto, manca una giusta percezione delle donne e del loro ruolo, del loro valore. Perché non ci sia nessuna giustificazione o alibi alla violenza.
Non basta dire che non deve più succedere. Perché poi si rimuove e nulla cambia, nulla cambia nella cultura del possesso e machista patriarcale. Il dominio maschile resta indiscusso, giustificato e queste violenze alla fine sembrano sempre colpa delle donne, che incrinano gli equilibri e i ruoli precostituiti. Chi per omertà, chi per indifferenza, coprono con connivenza questi orrori.
La violenza è compiuta da uomini normali, imbevuti però di una cultura che li assolve dalla violenza, abituati a compierla per sostenere un'idea di una virilità malata e distorta.
Secoli, secoli di questa mentalità son difficili da sradicare, per questo non si può e non si deve fare affidamento sull'educazione familiare, ma su un'educazione al rispetto che sia scevra da questo bagaglio, fardello pesante di cultura della violenza e dello stupro.
In fondo, certe reazioni dei compaesani ricalcano la stessa matrice che copre le organizzazioni mafiose e criminali, la mentalità va sradicata fornendo modelli alternativi, anziché tramandare questi abomini. I modelli devono cambiare e ci devono al contempo essere gli strumenti concreti per sostenere questo cambiamento, oltre le parole.
Dobbiamo percorrere insieme una strada nuova, finalmente fuori dagli stereotipi, dalle discriminazioni, dalla violenza in ogni forma. Le istituzioni non possono permettersi di mancare in questo percorso.
A Melito come in tutta Italia, donne e uomini della società civile e istituzioni devono essere presenti, compatti, uniti e farsi sentire sui territori, stando al fianco delle vittime per assicurare loro solidarietà e aiuti concreti, giustizia celere, cultura del rispetto e della legalità per uscire dalla nebbia fitta fatta di omertà e indifferenza.
Per dare la speranza e la prospettiva di un futuro diverso. Tutto questo deve diventare una prassi consolidata e deve essere applicata in ogni caso di violenza.
Quando si spegneranno i riflettori, si dovrà essere ancora più vicini alla ragazza, perché la speranza di giustizia si trasformi in certezza, affinché non accada più una violenza simile. La parte della comunità solidale con la ragazza deve avere le stesse certezze, che ciò che è accaduto non sia accaduto invano. Perché ci vorrà tanta forza e coraggio per costruire quel futuro.
Il documentario “Processo per stupro” ha la mia età. Se avessimo colpito con forza alle radici di quella cultura patriarcale e violenta, non dovremmo assistere ancora una volta a questa sequenza di giustificazioni della violenza maschile. Manteniamo alta l'attenzione e lavoriamo per cambiare questa mentalità, per porre fine alla cultura dello stupro e della violenza.
Guardiamo in faccia la realtà che alimenta la violenza quotidianamente, senza sottovalutare alcun aspetto, dal linguaggio, ai media, alle leggi applicate male, agli interventi educativi nelle scuole a macchia di leopardo, non sistematici, al gender gap e agli stereotipi sessisti, al racconto che odia le donne, che ci vuole tutte omologate e rispondenti a come gli uomini ci vogliono.
Per approfondire:
Qui il presidio di Collettiva Autonomia #ilsilenzioècomplicità