Sono trascorsi 40 anni, questo 22 maggio dalla promulgazione della legge 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza.

Gli anniversari servono solo se riescono a far prendere coscienza, non solo per tracciare un bilancio, ma se riusciamo a correggere e a risolvere ciò che nel tempo è andato perduto, si è sfilacciato come un tessuto di cui non abbiamo avuto abbastanza cura.

Attorno a questo numero di legge è rimasto un alone di silenzio e negli anni si è sempre cercato di marginalizzare tutto ciò che questa norma portava con sé. Fino a smarrirne la genesi e fino a doverne constatare i profondi tentativi di svuotarla nella sua applicazione. In una crescente difficoltà, non abbiamo mollato mai del tutto, anche se negli anni è tornato ad essere un tema tabù, anche per la politica, abbiamo tentato di uscire dal silenzio, ci siamo trascinate fino ad oggi cercando di continuare ad arginare questo smottamento. I risultati sono questi: si attesta al 70,9% la percentuale nazionale di ginecologhe e ginecologi obiettrici e obiettori di coscienza, mentre tra gli/le anestesisti/e siamo al 48,8%.

Da quanto rileva l'Ass. Luca Coscioni solo il 59,4% delle strutture con reparto di ostetricia rispetta la legge e pratica l'IVG. Mentre il Ministero della salute afferma che “su base regionale e, per quanto riguarda i carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore, anche su base sub-regionale, non emergono criticità nei servizi di IVG”, valutando però la presenza dei servizi su base statistica e non su base territoriale. Per non parlare dei costi aggiuntivi per la Sanità pubblica, sostenuti per reclutare i medici "gettonisti" che vanno a supplire gli obiettori. Non è solo una questione di numeri, ma di garantire un livello e una qualità di assistenza buone.

 

IMMAGINE Mappa dell’Italia con la percentuale per Regione delle sedi fisiche di strutture che effettuano

La relazione ci dice che i consultori sono 0,6 ogni 20.000 abitanti (il POMI del 2000 ne prevedeva 1 ogni 20.000 abitanti), rilevando purtroppo che “molte sedi di consultorio familiare sono servizi per l’età evolutiva o dedicati agli screening dei tumori e pertanto non svolgono attività connessa al servizio IVG”. Per non parlare dei problemi relativi al ricambio generazionale, di personale, alla strumentazione di cui sono dotati (mancano gli ecografi). Il tutto aggravato da pratiche regionali differenti che creano difformità sul territorio nazionale (costi delle prestazioni e una gratuità che non è più assicurata dappertutto). Insomma dal 1975 assistiamo a una lenta perdita di presidi e di diritti.

I dati regionali sull'obiezione oscillano tra percentuali abnormi e dati sottostimati (68,2% la percentuale di ginecologhe e ginecologi obiettrici e obiettori nelle strutture pubbliche di Regione Lombardia).

IMMAGINE OBIETTORI 2016

 

Nel 2016 il numero di IVG è stato pari a 84.926 (da 234.800 nel 1982), segnando un meno 3,1% rispetto all’anno precedente. L'ultima relazione ministeriale al Parlamento sottolinea come l’andamento in diminuzione di questi ultimi anni, come già rilevato lo scorso anno, potrebbe essere almeno in parte collegato alla determina Aifa del 21 aprile 2015 che elimina, per le maggiorenni, l’obbligo di prescrizione medica dell’Ulipristal acetato – EllaOne, contraccettivo d’emergenza noto come “pillola dei 5 giorni dopo”. In realtà la flessione è registrata sin dalla promulgazione della 194. Purtroppo le notizie su questo fronte non lasciano ben sperare: la contraccezione di emergenza non è stata inserita nell'elenco dei farmaci indispensabili da tenere sempre in farmacia, cosa che costringerà le donne a girare alla ricerca di questo farmaco.

Sarebbero in calo anche gli aborti clandestini, che rappresentano un sommerso difficile da quantificare, che meriterebbe un approfondimento serio sulle metodiche utilizzate e su un pericoloso ritorno al faidate: l’Iss ha effettuato una stima degli aborti clandestini per il 2012, per le donne italiane è stimato tra i 12mila e 15mila e tra i 3mila i 5mila tra le donne straniere.

Per quanto concerne l'aborto farmacologico con Mifepristone (RU486) e prostaglandine si evidenzia dal 2009 al 2016 un incremento continuo del loro uso e l’utilizzo ormai in tutte le Regioni. L’interruzione di gravidanza con RU486 rappresenta il 15,7% del totale delle IVG, con considerevoli differenze tra regioni: in Liguria (41.7% di tutte le IVG nel 2016), Piemonte (35.8%), Emilia Romagna (28.3%) e Toscana (23.7%), Lombardia (6%).

 

IMMAGINE ru486

 

Anche la contraccezione, che avrebbe dovuto essere uno dei pilastri su cui intervenire, mostra tutti i limiti nella sua attuazione piena e i muri che negli anni si sono frapposti: ostacoli pregiudiziali, poca informazione, poca conoscenza e consapevolezza dei metodi contraccettivi, tanto faidate e passaparola zeppo di consigli pericolosi, poca programmazione e una tendenza elevata dell'emergenza. Contraccettivi che per di più sono anche abbastanza onerosi e a carico delle donne (ricordiamo il passaggio nella fascia a pagamento di tutti i contraccettivi ormonali). Insomma, la prevenzione questa semisconosciuta opportunità persa.

Fin qui un bilancio doveroso per capire dove ci troviamo.

Ma perché tanta ostilità, da dove parte tutto questo clima irto di ostacoli e cosa c'è all'origine del divieto, da noi rimosso con la 194? Ho potuto leggere (grazie a Patrizia Lanfranconi per il dono) un libro La sfida femminile, maternità e aborto di Elvira Banotti, datato 1971, un'inchiesta sociologica con interviste, testimonianze di più di 100 donne e medici, che mette a nudo un sommerso, la realtà prima che l'aborto fosse legalizzato e reso finalmente una pratica sicura e accessibile dalle donne. Voci di donne che hanno reso visibile qualcosa che era praticato ma non nominato in pubblico. Un testo che ripercorre anche le radici arcaiche del divieto, una conferma che le cause e le motivazioni risiedono tutte in un sistema di controllo patriarcale. L'aborto collegato per secoli (anche prima dell'avvento del Cristianesimo) a un ordine sociale, a una tutela del maschio, del marito, alla dissolutezza dei costumi. Tertulliano (padre della teologia cattolica) parlava esplicitamente di omicidio, affermando che "l'anima è già contenuta nel seme", concependo la maternità come la proiezione della funzione procreatrice dell'uomo, con la donna che diventa soggetto passivo della gestazione, una incubatrice. D'altronde la misoginia di Tertulliano si esprimeva perfettamente nel suo definire la donna "la porta dell'inferno".

Nelle lettere di San Paolo e nelle teorizzazioni di Graziano (fondatore del diritto canonico), che dichiarano "mulier corpus viri", la donna è corpo dell'uomo, leggiamo la volontà di sancire "una esclusiva possessività maschile (se la donna è parte del mio corpo, non può essere di un altro uomo)" origine del "debito coniugale" e quindi di subordinazione in ogni decisione. I canoni conciliari contemplano solo i casi in cui la donna si procuri un aborto di nascosto dal marito, in correlazione a un adulterio.

"Il divieto di aborto era il coronamento di una società fondata sulla privazione dell'autonomia psichica e corporea della donna, in modo da annientare ogni difesa da parte di quest'ultima e trasformarla in "cosa" soggetta alla potestà maschile. La donna veniva costretta a identificazioni (esser madre e non altro) soltanto per impedire proiezioni di autenticità e di libertà; il che doveva facilitare il suo "confinamento" oggettivo, neutralizzando qualsiasi manifestazione di volontà (...) soggetta a quella "forza arcana della natura".

Con tutte le conseguenze in termini di stereotipi, miti e tentativi di controllare la donna.

"Il divieto di autonomia biologica della donna è sorto in una società che veniva spogliando quest'ultima di ogni condizione giuridica per degradarla e dominarla. I sentimenti e le emozioni venivano indirizzati e prescritti in vista di un equilibrio organizzato dalle autorità dominanti; in questo senso, la maternità distorta drasticamente per un'esigenza istituzionale, doveva prevalere ad ogni costo sull'istinto sessuale femminile. La condanna dell'aborto interviene come intimidazione sessuale".

Una sopraffazione e un controllo esercitati per secoli, che grazie al femminismo sono stati evidenziati e messi in discussione, affermando la separazione tra sessualità e procreazione anche per le donne. Ci siamo liberate da questo destino biologico, come unica modalità di realizzazione di sé. Abbiamo fatto tante lotte per evitare l'esclusione dalla vita sociale, per essere riconosciute come persone, individui, non solo come strumento riproduttivo della specie.

Oggi?
Siamo di fronte a pericolose ipotesi, neanche tanto rare, che vorrebbero contemplare anche l'opinione dei "futuri padri" nell'iter dell'aborto. Per la serie non sarebbe più nostra l'ultima parola. Siamo di fatto ancora in trincea per rivendicare la nostra autodeterminazione e la nostra volontà di scegliere, affermando di essere molto altro, rispetto ai ruoli codificati e assegnatici da secoli di cultura patriarcale. Ci sono molte spinte nella società che cercano di restaurare questo dominio maschile (mai del tutto superato e tuttora vivo e vegeto), affiggendo manifesti dai contenuti palesemente falsi, volti a colpevolizzare e a stigmatizzare le donne, con particolari argomentazioni tutte incentrate sulle conseguenze fisiche e psicologiche.

Una strategia della mistificazione e della deformazione dei fatti, della realtà che oltre a disinformare, plasma un immaginario nocivo, che associa l'aborto al femminicidio, che fa terrorismo psicologico sulle donne, che parla di stragi di stato. Tra preganti davanti agli ospedali, marce in varie località, i no-choice, non importano le sigle, non sono rispuntati solo oggi.
Sono nelle nostre città da quando è nata la 194, ben radicati e protetti da una buona fetta di rappresentanti istituzionali, dentro gli ospedali, nei consultori, dentro le nostre vite.
Non si tratta di sostegni o informazioni alla maternità (come previsto ex art. 2 e 5 l. 194/78), perché non è solo un problema economico (cosa che si stenta a capire), ma di vere e proprie ingerenze nelle scelte delle donne.

Goccia a goccia hanno scavato e hanno demolito tutto quel prezioso clima che aveva permesso l'approvazione della 194. Negli ultimi tempi sembrano aver intensificato i loro interventi, non perché si sentano franare la terra sotto i piedi, bensì perché avvertono che il vento potrebbe cambiare, che in un rigurgito di restaurazione e di intolleranza, di ordine e pulizia, di negazione di diritti, con una fase politica e partitica che volge "a destra", che potrebbe essere "amica", occorre preparare il terreno "ammaestrando" l'opinione pubblica, anche con una informazione falsa.

Dal fertility day in poi, con pressioni sempre più forti sulle donne, si comprende facilmente che c'è chi vorrebbe riportarci alla condizione di meri terreni da seminare.
Leggere e saper analizzare il contesto per noi donne è essenziale per evitare sottovalutazioni e pensare che non accadrà nulla. Le nostre spaccature intestine non le avvertiamo solo noi.

A rischio è una legge che ci ha permesso di poter uscire dal buio, da pratiche clandestine che non garantivano la salute e la stessa sopravvivenza delle donne. Boicottare la legge attraverso una strumentalizzazione dell'obiezione di coscienza (inserita per garantire chi si era specializzato prima del 1978), significa sabotarla e vanificarla, significa mettere a rischio i diritti delle donne.

Una norma che ci ha garantito protezione e soprattutto ha permesso che si parlasse di salute sessuale e riproduttiva non come una questione privata, delle donne, ma con un senso di responsabilità collettiva, perché lo Stato si impegnava su questo fronte con il Ssn e prevedendo che le Ivg rientrassero nei Lea.

Contrassegniamo questo quarantennale con la volontà, l'impegno di creare gruppi, comitati, consulte, tavoli di lavoro territoriali che coinvolgano più competenze, più professionalità, più livelli e ambiti, movimenti, associazioni, singole attiviste e cittadine, che sappiano monitorare e pungolare su ciò che non funziona, sui rischi e fungendo da luogo propositivo e attivo di azione coordinata.

Perché ciò che è più evidente è che se non presidiamo i nostri diritti in ogni contesto, il rischio di tornare indietro è enorme, soprattutto se non avviene un passaggio generazionale di tutto il dibattito e le riflessioni che hanno portato al varo di questa legge.
Non è solo un esercizio di ricostruzione storica, ma la memoria serve per poter rispondere alle sfide del presente e agli ostacoli che oggi tornano a frapporsi per un pieno esercizio dei nostri diritti e delle scelte sui nostri corpi.

Soprattutto, evitate di strumentalizzarci o di far finta che vi interessino i nostri diritti, di doppiogiochiste facciamo a meno.
Quando accadono episodi a due passi da casa nostra e non siamo in grado di dare una risposta forte e di unirci per evitare il dilagare dei no-choice, è evidente che abbiamo un enorme problema di coerenza.

Non risvegliatevi solo in occasione degli anniversari per espletare i compiti di rito, ma sappiate mostrare solidarietà e sostegno al momento opportuno, a chi chiede aiuto quando accadono cose gravi a pochi passi dal nostro uscio di casa. Non misurate la "convenienza" di un intervento, siateci sempre. L'indifferenza è ciò che causa più danni e che permette a certi gruppi di farci arretrare.

Non permettiamo a nessuno di riportarci nell'ombra o nel buio. Non si tratta di questioni che riguardano la singola donna, la sua sfera privata, personale, ma hanno una forte base e connotazione politica. Le soluzioni pure. A questa dimensione occorre tornare.

 

Ritratto di Simona Sforza

Posted by Simona Sforza

Blogger, femminista e attivista politica. Pugliese trapiantata al nord. Felicemente mamma e moglie. Laureata in scienze politiche, con tesi in filosofia politica. La scrittura e le parole sono sempre state la sua passione: si occupa principalmente di questioni di genere, con particolare attenzione alle tematiche del lavoro, della salute e dei diritti.