E' evidente il modo con cui il web accelera informazioni, notizie ma anche semplici battute, chiacchiere inutili, parole leggere, frasi saggissime e immagini di ogni genere. Con la stessa velocità un'etichetta appiccicata ad un ragazzo (sfigato, per esempio) diventa una pubblica etichetta e non più circosritta al gruppo di riferimento. Di conseguenza anche cambiare comitiva, cambiare scuola, cambiare "giro" non permette allo "sfigato" di togliersi questa etichetta poiché la conoscono tutti, ben oltre i confini del quartiere, dell'Istituto o della palestra. E tutto nei social resta scritto, non si può cancellare. E' pubblico, è "vox populi".
Questa accelerazione è facilitata dal fatto che si attua nell'attimo di un "click". E qui, a mio avviso si gioca la grande novità.
Una diceria, un pettegolezzo, una calunnia, per passare di bocca in bocca, necessitano di una comprensione, devono passare per la testa; poi hanno bisogno di una relazione umana, quindi di una voce, di un passaggio da parsona a persona, da me a te. Questo, anche se non ce ne rendiamo sempre conto, comporta la decisione di prendere una posizione, stare dalla parte di qualcuno o contro qualcuno, comporta la scelta di divertirsi o gratificarsi sulle spalle dell'altro, prendersi la responsabilità di far circolare un'informazione, trasmetterla con la propria voce. Ci sarà qualcuno che lo verrà a sapere da me e potrà citarmi come "fonte" dell'informazione.
Su facebook è solo un click.
La diceria letta (a volte neanche letta, solamente sbirciata) passa dall'occhio al dito senza riflessione, senza uscire da me, anzi senza neanche avere il tempo di entrare in me, di elaborarla, capirla, ragionarci su; passa da un altro ad un altro ancora, ad altri senza alcuna responsabilità perché non l'ho mica detta io; non provo neppure sensi di colpa, in quanto:
Ancora al primo posto c'è la relazione.
E paradossalmente è proprio questa mancanza di relazione diretta che rende tutto più veloce e feroce. Anche perché la stessa persona che ha condiviso e quindi amplificato un post offensivo il giorno successivo si rivolge alla vittima con totale indifferenza, come se nulla fosse. Proviamo ad immaginare quanto questo sia devastante per chi subisce ed alienante per chi agisce.
Non possiamo negare che la maggior parte delle comunicazioni fra i ragazzi oggi passino attraverso i social network e tutte le applicazioni che in qualche modo permettono in modo economicissimo o addirittura gratuito di stare tutti sempre in contatto con tutti.
Questo è un vantaggio non indifferente ed anche noi adulti non disdegnamo di usufruirne al massimo, per utilità e per diletto.
Ma questo canale relazionale ci permette di osservare quali rapporti costruiscono i nostri ragazzi? Siamo in grado di capire se davvero nostro figlio chatta con compagni di scuola o con estranei nei vari forum (e quindi è solo)?
Siamo in grado di capire se sta giocando con compagni o con giocatori sconosciuti connessi dall'altra parte del mondo (e quindi è solo)?
Siamo in grado di accertarci se davvero ha bisogno di studiare così tanto, di fare tante ricerche nel web (e quindi stare solo)?
Oppure sta semplicemente chiuso, da solo, in camera sua, a vagabondare per il mondo per far tacere qualcosa che non sa affrontare, che non sa comunicare o che ha paura di confessare?
E' facile per i ragazzi imbrogliare in questo senso, perché hanno nuovi strumenti che permettono loro di mascherarsi. Non parlo dell'imbroglio maligno. Parlo del ragazzo che non ha amici e "imbroglia" se stesso riempiendosi di vita virtuale; imbroglia i genitori semplicemente perché non vuol farli preoccupare; imbroglia involontariamente, solamente perché quello è il suo unico rifugio, la sua unica possibilità di soffocare la solitudine e sopravvivere. Senza alcuna colpa e anche senza alcuna consapevolezza di questa propria condizione, apparentemente normale, innocua, appagante.
Parlo della ragazza timida e bruttina che non va alle feste perché deve studiare ma "sta sempre con le amiche su quel telefonino"... sarà vero? Esisteranno davvero queste amiche? O sta "imbrogliando"?
E noi, come facciamo a capire se i nostri ragazzi sono soli, hanno un amico, un'amica, hanno un gruppo, hanno chi gli rompe l'anima ma anche chi li protegge?
Ritorno alla provocazione dell'articolo precedente: è davvero nuovo questo fenomeno del cyberbullismo o è nuovo solo il canale su cui si diffonde questa antica forma di violenza?
Noi genitori ne sentiamo tanto parlare. Si uccide un adolescente e subito si va a sbirciare nel profilo facebook, nei messaggi, e si scoprono tante cose dolorose... eppure era così bravo!
Ma anche questo succedeva già, anche prima di facebook. Quando un adolescente diceva basta, eravamo tutti lì a chiederci perché, a insistere sulla "normalità" e le doti dell'ennesima vittima della solitudine. La differenza è che ora quel bravo ragazzo, quella brava ragazza, educati, gentili, impegnati, bravi a scuola... ora hanno lasciato una testimonianza ed un racconto nei social. Anche se la traccia indelebile è esattamente la stessa: un corpo, spento che accusa, che grida: "Basta, non lo vedete che non ce la faccio più?".
Io sono convinta (monotona, noiosa, ripetitiva...) che il problema è vecchio ed è sempre lo stesso: aiutare i nostri ragazzi ad essere loro stessi, a volersi bene, a costruire relazioni fondate sulle persone e non sui vestiti, i capelli le tette e il pisello. Ed aiutarci, noi adulti, a saper essere il luogo in cui poter tornare, correre, sfogare tutto.
Devono poterci abbracciare ed accusare. Siamo i mostri per eccellenza ma siamo anche la tana, il rifugio sicuro.
Dobbiamo esserci il più possibile. E anche quando non ci vogliono, non diamo mai loro l'idea che ci siamo arresi, non li abbandoniamo, lasciamo la porta aperta e assicuriamoci che loro sappiano sempre che la porta è aperta. Anche mentre ce la stanno sbattendo in faccia urlando.