Dopo l'ondata del 25 novembre, prendiamoci del tempo per riflettere. Per cercare di capire in che contesto viviamo, quale sia il punto di vista degli italiani e delle italiane sul tema, che tipo di cultura permea le relazioni e la nostra società, per fare il punto su quali leve e aspetti lavorare.
Il 23 novembre sono stati presentati i risultati di una indagine "La percezione della violenza contro le donne e i loro figli", condotta da Ipsos per conto di WeWorld Onlus, organizzazione non governativa che da quasi 20 anni promuove e difende i diritti dei bambini e delle donne a rischio in Italia e nel mondo. È stata l'occasione a distanza dalla precedente ricognizione, del 2014, per fare un bilancio dell'opinione di un campione di 1000 persone (49% uomini, 51% donne tra i 18 e i 65 anni) intervistate nel mese di ottobre 2017, su una serie di affermazioni in tema di stereotipi di genere (tra parentesi la somma delle percentuali di chi è molto d'accordo o abbastanza d'accordo):
© WeWorld Onlus - fonte
Gli stereotipi sono duri a scomparire, soprattutto è evidente che sono patrimonio delle stesse donne che li trasmettono: il 33% di loro si dichiara d'accordo con l'affermazione che tutte le donne sognano di sposarsi, per il 12% il successo nel lavoro è più importante per gli uomini. Per una grossa percentuale di uomini e donne la maternità viene considerata l'unica esperienza che permette una piena realizzazione.
Insomma, persiste un immaginario di donna accudente, ancora fortemente legata ai ruoli di cura, domestici, familiari, di supporto e welfare gratuito e dato per scontato. Resta forte l'idea di una donna che per "natura" è più portata e idonea a svolgere questi compiti. "L'uomo non è immune dal doversi occupare delle faccende domestiche certo, ma è la donna ad essere capace di sacrificarsi per la famiglia, molto più di quanto sappia fare l'uomo, soprattutto in presenza di figli".
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Una subordinazione evidente e persistente, accompagnata da una sminuizione del ruolo delle donne nella comunità, non solo nella vita privata. Radicati e forti certi stereotipi, anche se la facciata tende a una "parità", si parla di equità ma la realtà riporta altro: di fatto si registra questa dicotomia e questo tipo di gap, in particolar modo quando si parla di ripartizione dei tempi di cura e di lavoro domestico. Certo dei passi in avanti sono stati fatti, ma siamo abbastanza lontani dal raggiungere la parità, come emerge anche dall'ultimo report del Wef.
In un contesto in cui permane questo tipo di mentalità è facile che si considerino normali atteggiamenti e prassi tutt'altro che innocue.
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Solo il 49% degli italiani intervistati pensa che le colpe della violenza di genere non siano in alcun modo imputabili alla donna, mentre un italiano su sei ritiene che la donna sia responsabile della violenza che le viene inflitta. Il 35% è più restio a considerare la donna vittima e si appella alla prudenza nel giudicare i fatti quando afferiscono all'ambito familiare. Preoccupa non poco la rilevazione a proposito di coloro che sono più propensi ad assolvere il maschio violento: "sono soprattutto uomini, giovani adulti (18-29 anni), che vivono soli, residenti al centro-sud, per i quali la violenza è la naturale e istintiva reazione a una provocazione della donna."
Chiaramente la percezione delle persone intervistate è fortemente influenzata dal momento in cui avviene la rilevazione, dalle notizie trasmesse dai mass media e da come vengono diffuse, insomma dal contesto informativo e dal clima sociale in cui si è immersi e che determina la visione su un fenomeno.
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Per il 66% per paura delle conseguenze, il 49% pensa che ci sia poca fiducia nelle Istituzioni.
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Secondo il campione si deve intervenire sull'educazione: per l'87% si devono insegnare le pari opportunità e i diritti, per l'85% si devono avviare specifici percorsi di sensibilizzazione nelle scuole. Il 77% auspica una legge contro la discriminazione sessuale. Per prevenire e contrastare la violenza, i centri e le organizzazioi dedicate all'assistenza svolgono un ruolo fondamentale per il 67% degli intervistati.
Ancora da annotare come si riponga poca fiducia nei confronti dei percorsi di rieducazione e reinserimento dei maltrattanti, molto probabilmente a causa di una scarsa conoscenza delle buone pratiche che comunque sono già in uso, anche se non in modo sistematico.
Sul tipo di intervento da mettere in campo, c'è sicuramente la necessità di rendere l'azione diffusa, con un approccio trasversale, sistemico, organico e non frammentario. Le politiche di prevenzione e contrasto dell violenza non possono che essere complesse e articolate, così come è il fenomeno sul quale devono incidere.
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Quando la violenza colpisce anche i bambini, spettatori involontari della violenza domestica. Quest'anno la ricerca Ipsos-WeWorld si concentra lungamente su questo aspetto. Secondo l'ultima indagine Istat del 2015 il numero delle violenze a cui sono esposti i figli è pari al 65,2% e nel 25% dei casi sono stati in prima persona vittime della violenza. Quanto è conosciuto questo fenomeno? A quanto pare poco, se il 49% del campione dichiara di non esserne al corrente, soprattutto nella fascia 30-41 anni. Scarsa conoscenza del fenomeno, che però viene percepito come assai grave: secondo l'84% i bambini sono vittime al pari delle donne e secondo l'83% possono sviluppare disturbi psicologici, emotivi o relazionali. Purtroppo si tende ad ascrivere il problema della violenza assistita intrafamiliare maggiormente agli ambienti degradati a livello socio-culturale o economico, non ne si percepisce la trasversalità. Intervenire per tempo nei casi di violenza assistita significa interrompere la trasmissione intergenerazionale della violenza, perché gli effetti come sappiamo sono permanenti e influenzano i comportamenti da adulti.
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Secondo Marco Chiesara, presidente di WeWorld Onlus, il "Paese è sostanzialmente spaccato a metà, tra coloro che si schierano in modo deciso a favore delle donne, e chi invece considera il fenomeno della violenza un fatto eminentemente privato".
Oggi se ne parla sempre di più, questo incrementa la consapevolezza sul tema della violenza di genere, ma non è sufficiente, perché solo l'11% delle donne che hanno subito un abuso poi trova la forza di denunciare. Il sommerso è un gravissimo problema da affrontare e da analizzare a fondo, andando a lavorare sui fattori che dissuadono o rendono complicata la possibilità di intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Una soluzione c'è: stare vicino alle donne e ascoltarle, nel loro quotidiano, da vicino, nei quartieri e nei luoghi in cui vivono, conoscendo le esperienze e le loro storie, comprendendo che i percorsi di ciascuna non sono assimilabili, sono differenti e che per questo occorre parlare un linguaggio e mettere in campo un'azione in grado di coinvolgere tutte davvero. Dare il tempo giusto alle donne e non considerarle una massa unica, ma multiforme e per questo occorre lavorare in modo mirato, in punta di piedi, senza voler forzare nulla e senza giudicare. A questo proposito a breve vi parlerò degli Spazi Donna, ideati e sostenuti da WeWorld Onlus.
n.b. Le immagini e i grafici presenti in questo articolo sono ricavati dalla ricerca "La percezione della violenza contro le donne e i loro figli", condotta da Ipsos per conto di WeWorld Onlus. © WeWorld Onlus - fonte