Italia 2016. Tra fertility day, prestigio della maternità, fertilità bene comune e altre ciliegine “risolte” tutte in “un semplice errore di comunicazione”, “correggeremo la campagna”, va in scena la solita rappresentazione. Per fortuna c'è chi fa notare che l'impianto ideologico alla base del piano nazionale per la fertilità è anacronistico e lesivo per tanti motivi e per tante persone (qui e qui). Sta di fatto che anziché accogliere i suggerimenti, cogliere dalle critiche un approccio diverso e avviare un percorso multidisciplinare, si preferisce far finta di niente. Poi forse si metterà una toppa.
Ci sarebbe bisogno di interventi organici e strutturali, di ristrutturare un welfare sulla base delle esigenze attuali, assicurando a tutt* un buon work-life balance, che non è “quella roba lì da donne”, ma riguarda l'intera comunità.
A quanto pare per l'Unione Europea la parità di genere è una questione centrale e nonostante i suoi limitati poteri di intervento negli ambiti delle politiche del lavoro e sociali, per sussidiarietà ancora in gran parte di competenza degli Stati membri, periodicamente si adopera per poter sollecitare affinché si ragioni e si intervenga per cambiare lo status quo.
Qui di seguito gli ultimi passaggi e normative in materia:
Il Parlamento europeo ha deciso di redigere una relazione per continuare a tenere acceso il dibattito e per richiedere alla Commissione di intensificare il suo intervento in questo ambito.
L'approvazione della risoluzione per la “Creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all'equilibrio tra vita privata e vita professionale” è giunta lo scorso 13 settembre: uno stimolo e un invito a lavorare e a intensificare l'impegno in materia di work-life balance.
Obiettivi: incrementare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, attraverso la modernizzazione e l’adeguamento delle norme europee al mercato del lavoro attuale, per consentire un più agile equilibrio tra famiglia, lavoro e vita privata (per chi deve prendersi cura di figli, familiari o persone a carico), spingere verso una maggior condivisione dei compiti familiari e di cura, e rimuovere le discriminazioni di genere nel mondo del lavoro.
Viene sottolineato come non esistano soluzioni che possano soddisfare le esigenze di tutti, ma che ciascuno deve riuscire a trovare il proprio equilibrio, nel segno di una flessibilità positiva. Insomma, va trovato il “vestito” che possa essere comodo per ciascun* cittadin*, gli interventi “taglia unica” non si adattano a questi ambiti.
Una serie di misure che servano ad alleggerire e distribuire i compiti di cura, che variano nel corso della vita, dall'accudimento dei figli a quello dei genitori anziani. Qualcosa che copra tutto il ciclo di vita, quindi. Chiaramente investire in servizi idonei e norme specifiche porta dei vantaggi e delle ricadute positive anche sui bambini e sulla qualità del loro percorso di crescita, maturazione e sviluppo cognitivo (nidi e asili di qualità sono fondamentali).
Anche perché c'è un dato che andrebbe affrontato in Italia: oltre sei mamme su dieci sotto i 30 anni restano a casa senza lavoro e come rileva questo pezzo, significa avere dei problemi di “dipendenza” dal compagno, anche in caso di violenza domestica. Eppure ci dicono di fare figli da giovani, di sbrigarci, di non rimandare. Evidentemente si sottovaluta la situazione contingente.
In tutta Europa il tasso di natalità è sensibilmente diminuito negli ultimi decenni, con piccole risalite in Francia dove le politiche di sostegno all'individuo (non destinate al nucleo familiare) sembrano funzionare.
A differenza dell'approccio italiano, nel documento europeo l'orizzonte si amplia, si parla di problemi demografici in relazione a un invecchiamento della popolazione che ha delle ricadute sulla crescita e sullo sviluppo socio-economico dell'Unione. Si parla di tutti i fattori che originano il calo delle nascite, senza puntare il dito su chi “aspetta troppo”. Il gender gap produce una perdita del 10% di PIL in UE. Il gender pay gap (16%) ha delle ricadute sulla pensione, quando il gap arriva al 39%. In dettaglio evidenziamo che nel 2015 il tasso di occupazione maschile nell'UE a 28 si è attestato al 75,9 %, mentre quello femminile è stato del 64,3 %, nonostante il maggiore livello di istruzione delle donne. Il part-time femminile è molto elevato, così come gli impieghi nei settori meno retribuiti; le retribuzioni orarie sono inferiori, anche quando si esegue lo stesso lavoro degli uomini. Povertà e inasprimento delle disuguaglianze si sono aggravate tra crisi e austerity.
Resta il divario tra monte ore di lavoro per uomini e donne: sommando le ore di lavoro retribuito e non retribuito a casa, le donne giovani lavoravano in media 64 ore, mentre gli uomini lavoravano 53 ore.
Nei 28 Stati membri dell'UE non meno del 34 % delle madri sole è a rischio di povertà, i figli sono esposti in misura decisamente maggiore alla cosiddetta trasmissione intergenerazionale della povertà. In pratica se non si interviene il ciclo negativo non può essere interrotto.
Le politiche da attuare devono portare a un incremento delle donne che lavorano, con una maggiore condivisione dei compiti domestici e agevolazioni all'accesso al mondo del lavoro. Occorre rimuovere le discriminazioni per chi chiede congedi per motivi familiari e portare i padri ad usare i congedi di paternità.
A che punto siamo in merito ai servizi?
“Solo 11 Stati membri hanno raggiunto il primo degli “obiettivi di Barcellona” (2002, servizi di cura per l’infanzia accessibili al 90% dei bambini tra i tre anni e l’inizio dell’obbligo scolastico), mentre solo 10 Stati membri hanno raggiunto il secondo obiettivo (servizi di cura per l’infanzia accessibili al 33% dei bambini di età inferiore ai 3 anni). Solo il 10% dei padri usa almeno un giorno di congedo di paternità.
Queste carenze di servizi di cura per i propri figli o altri parenti a carico portano 3,3 milioni di cittadini europei tra i 15 e i 34 anni a rinunciare al lavoro full-time. Preoccupante è il fenomeno del part-time involontario, che aggrava il rischio di povertà lavorativa.
I livelli di intervento quindi possono e devono essere molteplici.
Innanzi tutto si chiede di implementare adeguati regimi di congedo condivisi tra padre e madre: per ridurre il gender gap e le discriminazioni e incentiverebbe i padri a passare del tempo con i figli.
La risoluzione invita la Commissione a:
Inoltre la risoluzione chiede:
Gli Stati membri si devono impegnare a “mettere in atto politiche proattive e investimenti adeguati concepiti allo scopo di aiutare le donne e gli uomini a immettersi, reinserirsi, restare e avanzare nel mercato del lavoro dopo periodi di congedo per motivi familiari e di assistenza con un'occupazione sostenibile e di qualità, in linea con l'articolo 27 della Carta sociale europea”.
La risoluzione evidenzia come l'equilibrio tra vita e lavoro può essere raggiunto solo se ciascuno ha del tempo oltre il lavoro da dedicare allo sviluppo personale e i tempi di lavoro non “mangiano” tutta la giornata. Anche perché gli studi dell’ultimo decennio rilevano come non sempre a orari di lavoro più lunghi corrisponda un aumento della produttività, anzi. Quindi è un problema di organizzazione aziendale e dei tempi di lavoro, da aggiornare.
Politiche di conciliazione ben progettate e attuate fanno bene alle aziende e all'economia: “devono essere considerate come un miglioramento essenziale dell'ambiente di lavoro, in grado di creare buone condizioni lavorative e benessere a livello sociale e professionale; che, nel contempo, un buon equilibrio tra vita professionale e vita privata favorisce la crescita economica, la competitività, la partecipazione complessiva al mercato del lavoro, la parità di genere, la riduzione del rischio di povertà e la solidarietà tra le generazioni, risponde alle sfide dell'invecchiamento della società e influenza positivamente i tassi di natalità nell'UE” (lettera F).
Il punto 2 è un po' il cuore dell'intero documento, perché contiene un'affermazione molto rilevante e fondamentale:
La prossima volta che qualcuno mi dirà che la conciliazione e la condivisione sono questioni minori, che ciascuno deve fare da sé, gli richiamerò questo punto. Quando parliamo di conciliazione, stiamo parlando di un diritto fondamentale.
“Il concetto di "qualità della vita" è più ampio di quello di "condizioni di vita" e fa riferimento al benessere complessivo degli individui in una società, identificando diverse dimensioni dell'esistenza umana come essenziali per una vita umana completa”. Non deve essere un lusso di pochi raggiungere un giusto equilibrio, deve essere garantito dallo Stato attraverso interventi mirati.
Si “invita gli Stati membri a rafforzare la protezione contro le discriminazioni e i licenziamenti illeciti connessi all'equilibrio tra vita privata e vita professionale, che colpiscono in particolare le lavoratrici, nonché a garantire l'accesso alla giustizia e alle vie legali, anche attraverso una maggiore divulgazione di informazioni sui diritti dei lavoratori e sull'assistenza legale in caso di necessità; chiede, a tale riguardo, alla Commissione e agli Stati membri di proporre politiche volte a migliorare l'applicazione delle misure antidiscriminazione sul posto di lavoro, anche sensibilizzando con campagne di informazione in merito ai diritti giuridici relativi alla parità di trattamento, invertendo l'onere della prova e abilitando gli enti nazionali per le pari opportunità a condurre indagini formali di loro iniziativa su questioni di parità e ad aiutare le potenziali vittime di discriminazioni” (punto 15). In Italia dovremmo per esempio rifinanziare l'istituto della Consigliera di parità, nei suoi vari livelli territoriali.
Viene sottolineato che “la mancanza di dati comparabili, esaustivi, affidabili e regolarmente aggiornati sull'uguaglianza rende più difficile dimostrare l'esistenza della discriminazione, in particolare di quella indiretta.” Pertanto si “esorta gli Stati membri a raccogliere dati sull'uguaglianza in maniera sistematica e a renderli disponibili, con il coinvolgimento degli organismi nazionali per l'uguaglianza e dei tribunali nazionali, anche nell'ottica di analizzare e monitorare tali dati ai fini delle raccomandazioni specifiche per paese.” Attualmente la Commissione si avvale degli indicatori e delle analisi dell'EIGE per la raccolta dei dati disaggregati per genere. Qui alcuni articoli in merito 1, 2, 3.
La risoluzione “sottolinea che le donne e le persone LGBTI incontrano, sul lavoro, specifici ostacoli e fonti di stress basati sul genere, tra cui vessazioni, esclusione, discriminazione o stereotipi di genere, che incidono negativamente sul loro benessere sul lavoro e mettono a rischio la loro salute mentale e la loro capacità di progredire nella carriera professionale; invita la Commissione e gli Stati membri a intraprendere ulteriori iniziative per far fronte a tali condizioni sfavorevoli, garantendo la corretta attuazione delle norme pertinenti in materia di lotta alla discriminazione e la realizzazione di programmi di apprendimento permanente sensibili alle tematiche di genere, e li invita altresì a collaborare con i sindacati e le organizzazioni della società civile”.
Si esorta “la Commissione e gli Stati membri a contrastare le disparità sociali ed economiche” promuovendo “misure tese a creare regimi di reddito minimo adeguati, in linea con le pratiche e le tradizioni nazionali, al fine di consentire a tutte le persone una vita dignitosa, di sostenere la loro piena partecipazione alla società e di garantirne l'indipendenza in tutte le fasi della vita.”
Teniamo sempre presente che le disparità (di tempo libero, di trattamento e di retribuzione), l'iniqua ripartizione delle responsabilità e le discriminazioni tra le donne e gli uomini “possono incidere sullo sviluppo personale delle donne, sull'acquisizione di nuove competenze e conoscenze linguistiche (e non solo, ndr), sulla partecipazione alla vita sociale, politica, culturale e comunitaria e, soprattutto, sulla situazione economica delle donne.” Sappiamo che non è solo l'UE a sancire certi diritti e chiederne la loro applicazione. Per avvicinarci a quanto auspica il Parlamento europeo, un primo passo sarebbe l'applicazione piena della nostra Carta Costituzionale.
Per approfondire:
Sul congedo parentale in UE.
Sul congedo di maternità in UE.
Su parità e lavoro, Risoluzione Tarabella.