Sono passati quattro anni, ma non mi sono dimenticata nulla di quei mesi passati a chiedermi Dove? Come? Sarà quella giusta? Ce la farà?
Nel corso dell'ultimo anno di scuola media arriva per alunni e famiglie il momento di mettere le carte in tavola e scegliere la scuola futura.
Non è una scelta facile, soprattutto quando si devono tenere conto tanti fattori derivanti dai DSA, con l’aggravante del magic moment dell’età adolescenziale, ma – ammettiamolo – un certo impegno nel complicarla ulteriormente spesso ce lo mettiamo anche noi, buttandoci alla ricerca della scuola perfetta, provando a passare in rassegna tutto l’immaginabile per assicurarci che persino i collaboratori scolastici abbiano dimestichezza con i DSA.
La teoria la sappiamo: niente è definitivo e se la scelta non dovesse risultare giusta, si può sempre cambiare. Eppure più si avvicina il momento di inviare il modulo di pre-iscrizione più ci sentiamo come se tutto il destino del mondo dipendesse da questa scelta.
Di solito le preoccupazioni sono direttamente proporzionali al tipo di esperienza vissuta fino a quel momento nella scuola: più brutta l’esperienza pregressa, più elevato il livello di ansia, perché è forte il desiderio che il passaggio ad altra scuola possa essere la chiave di volta tanto agognata verso un percorso meno frustrante e demotivante, ovvero – diciamolo in positivo – verso un percorso finalmente soddisfacente e stimolante.
Mio figlio è in terza liceo ma ho ancora ben presenti i momenti di crisi quando si era trattato di fare la scelta per la scuola superiore. In realtà lui una scelta l’aveva già fatta, da tempo e ben prima della certificazione di DSA.
Il suo estro creativo e la sua passione per il disegno e per le arti avevano segnato un percorso indiscutibile, suo, fin dalla scuola primaria: il liceo artistico. Con l’arrivo della certificazione (in seconda media) era stato necessario rivedere tante cose e anche questa decisione fu messa a alla prova, sebbene per un breve periodo.
Dopo qualche settimana di tentennamento (“forse non sono in grado di affrontare un liceo”) il figliolo giunse alla conclusione che provarci era meglio che rinunciare.
A quel punto, all’improvviso e chissà come, anche tutte le mie ansie sparirono e fu chiaro che dovevo sostenere lui, aiutarlo a inseguire i suoi sogni e appoggiare la sua decisione, affinché le sue passioni tornassero ad essere più forti delle sue (e mie) paure.
Probabilmente ho scelto di non scegliere, lasciando che una decisione maturasse dentro di lui, non senza domandarmi fino a che punto fosse giusto intervenire o lasciar fare.
La paura più grande è quella che forti demotivazioni – determinate dalla complessità dello studio - possano indurre a perdere interesse per lo studio, fino all’abbandono scolastico, non raro nei casi in cui la scuola non sia in grado di fornire un’accoglienza e un percorso adeguati.
In terza media si lavora, o si dovrebbe lavorare, sui progetti di orientamento scolastico, finalizzati – se ben fatti – a maturare la conoscenza di sé e la consapevolezza delle proprie aspirazioni e dei propri talenti, elementi che possono concorrere a valutare coerentemente le varie proposte scolastiche, in base alle proprie preferenze, pur senza sottovalutare gli eventuali ostacoli che si incontreranno a causa dei DSA.
La Risoluzione del Consiglio d’Europa del 21 novembre 2008 definisce l’orientamento come “un insieme di attività che mette in grado i cittadini di ogni età, in qualsiasi momento della loro vita, di identificare le proprie capacità, competenze, interessi: prendere decisioni consapevoli in materia di istruzione, formazione, occupazione; gestire i propri percorsi personali di vita nelle situazioni di apprendimento, di lavoro e in qualunque altro contesto in cui tali capacità e competenze vengano acquisite e/o sviluppate”.
Per i ragazzi e le ragazze con DSA sarebbe importantissimo poter accedere a formule di orientamento mirate ed efficaci, che non si limitassero a valutare per loro solo le “scuole facili”, come troppi docenti (e anche alcune famiglie) ancora oggi ritengono scontato: a fronte di disturbi di apprendimento, gli studenti vengono indirizzati in modo quasi chirurgico verso istituti professionali o verso percorsi alternativi.
A meno che tali percorsi non siano effettivamente quelli giusti e rispondenti a inclinazioni e desideri, è un metodo sbagliato che può rivelarsi controproducente: una didattica laboratoriale, ad esempio, può essere la soluzione per qualcuno, ma non per tutti, proprio perché i DSA non si manifestano in maniera esattamente uguale in ogni ragazzo e ragazza e – soprattutto – perché non a tutti piace.
Ci vogliono quindi sensibilità e competenza, per garantire che gli interessi, le attitudini e le abilità (anche trasversali) siano messe veramente in gioco per comporre il consiglio orientativo. Le stesse Linee Guida Nazionali per l’Orientamento Permanente (nota MIUR 19.02.2014, Prot. n. 4232) citano: “è necessario che la scuola investa sulla formazione iniziale e continua di tutti i docenti, affinché essi si facciano carico di esigenze diverse, delle mutate richieste della società e del mondo del lavoro, nonché dei nuovi modelli di apprendimento dei giovani, come pure delle loro difficoltà e disagi”.
Le difficoltà scolastiche che spesso incontrano i ragazzi e le ragazze con DSA, li portano a considerare prevalente il conseguimento di obiettivi più legati alla prestazione che all’apprendimento stesso. Va da sé che per raggiungere la prestazione vengano poi favorite le attività considerate più facili: l’obiettivo viene ridotto, allontanato dai reali interessi e perseguito solo per il basso rischio di fallimento.
Lo vedo in mio figlio, quando si sottrae a determinati impegni scolastici, quando evita di fare mappe e schemi, quando si “limita” ad uno studio superficiale, attribuendo tutto ad una presunta pigrizia che, più facilmente, si chiama “sto lontano dai miei limiti e mi porto a casa il minimo che serve”.
Va bene, ci può stare, ma sento che se la scuola è quella “giusta per lui”, se nel complesso l’esperienza sarà positiva, potrà arrivare, con il tempo e la maturità, anche il desiderio di apprendere e imparare alzando autonomamente l’asticella.
Qualcosa che io non misuro in termini di valutazione (voti) ma contando il numero di volte in cui mio figlio dice “non ho voglia di andare a scuola”.
Per ora il bilancio è assolutamente positivo: sono sempre meno e i mal di pancia sono ormai un lontano ricordo. La mia conclusione, in base alla mia esperienza, è che agevolare una scelta che rispetti le loro attitudini e inclinazioni sia un modo per rispettare il loro diritto allo studio e alla realizzazione del loro progetto di vita.
Una volta individuato il percorso di studi, bisogna procedere con la scelta della scuola, fisicamente parlando.
In alcune realtà la decisione è quasi obbligata per questioni puramente logistiche; in altre situazioni la rosa tra cui scegliere è un po’ più ampia.
Un requisito fondamentale è che gli insegnanti siano preparati e formati in materia di DSA, che siano consapevoli dei diversi stili di apprendimento e disponibili ad adeguarsi.
Ma come fare a saperlo, prima di cadere nel buco nero della scuola in cui acronimi come DSA o PDP suonano alla stregua di IVA e TARI?
Una sorta, insomma, di tassa obbligatoria da pagare senza troppo entusiasmo.
La legge stessa è fallace, a mio avviso, e non ha previsto investimenti concreti per portare le scuole a creare strutture adeguate ed efficaci, soprattutto vere e non di facciata, con una formazione che venisse percepita come un reale arricchimento e non come un modo per consumare bonus: i disturbi specifici dell’apprendimento, in particolar modo nella scuola superiore di secondo grado, sono ancora troppo spesso considerati un ingrato compito aggravante, arrivato a stravolgere l’ordine costituito.
E troppo è ancora lasciato alle famiglie, come se l’istruzione dei figli non fosse perlopiù un diritto ma un dovere, delle famiglie. Famiglie che spesso si sentono colpevolizzate e inadeguate perché se la responsabilità è mia, il fallimento è mio.
Nessuna scuola, tuttavia, ci dirà che i suoi docenti non sono preparati; come possiamo allora cercare di farci un quadro soddisfacente e concreto?
Qualche indicazione possiamo trarla da alcune buone prassi:
AID (Associazione Italiana Dislessia) ha pubblicato i risultati del progetto di E-Learning “Dislessia Amica” rivolto ai docenti di scuola primaria e scuola secondaria di primo e secondo grado e finalizzato alla creazione di ambienti scolastici che siano effettivamente e concretamente inclusivi per alunni e alunne con DSA.
Alla fine del percorso, AID pubblicherà un Albo degli istituti che hanno ottenuto il riconoscimento di scuola “Dislessia Amica”. Nel frattempo, collegandosi al portale http://www.dislessia.fondazionetim.it/irisultati si possono trovare i primi risultati delle sessioni già svolte. Un buon indizio.
In definitiva, qualsiasi preoccupazione ci colga, non dimentichiamo che nel prossimo anno questi ragazzi e ragazze cresceranno ancora un po’, probabilmente molto, rispetto a come li vediamo ora. Qualunque decisione andrebbe quindi presa in prospettiva e in prospettiva andrebbero ridimensionate le nostre preoccupazioni.
Lascio alcuni link utili:
Il portale MIUR “Io scelgo, io studio”: http://www.miur.gov.it/io-scelgo-io-studio, attraverso il quale si accede al portale dell’orientamento http://www.istruzione.it/orientamento/ e alle linee guida nazionali per l’orientamento permanente.
Per orientarsi tra le varie tipologie di scuole superiori, le loro caratteristiche di indirizzo e i quadi orari: http://www.orientamentoistruzione.it/_file/documenti/QUADRI_ORARI/MIUR-%20Scuola%20Secondaria-superiore.pdf
AID – Associazione Italiana Dislessia: https://www.aiditalia.org/it