Giudizi, modelli di comportamento, linguaggio, rapporti di potere... che relazioni costruiamo, con i nostri figli, dentro casa? Che indicatori abbiamo per accorgerci se il gruppo classe è caratterizzato da una dinamica di bullismo?
Quando parliamo di bullismo parliamo di relazioni. E a pensarci bene, da genitori, non è così difficile farsi un'idea della vita relazionale dei nostri figli, almeno fino alla prima adolescenza.
Se è vero che la scuola è la principale agenzia di socializzazione nella vita dei bambini (trascorrono a scuola la metà del loro tempo), non dovrebbe costituire grande impresa, per noi genitori, capire se i nostri figli stiano bene o no con i compagni di classe.
Poniamoci per esempio alcune domande:
Parto da questi semplici indicatori, poiché spesso noi genitori siamo bravi a stilare la lista dei facili compiti che spettano agli insegnanti, e troviamo davvero assurdo che non si accorgano di questo o dell'altro problema. Fino, in molti casi, a giudicare incompetente il personale scolastico. Ci aspettiamo che gli insegnanti osservino venticinque – trenta bambini con l'occhio attento che noi non riusciamo ad avere sui nostri figli unici o al massimo sui nostri due - tre bambini.
Tutto questo non lo dico per giustificare, ma per sottolineare che noi genitori abbiamo il compito fondamentale di aiutare i nostri figli ad intessere relazioni. Cominciando con il promuovere relazioni positive ed armoniche con cuginetti, coetanei vicini di casa, compagnetti della materna e via dicendo man mano che crescono. Si, si inizia molto presto in questo processo.
Quando il bambino e la bambina accedono alla scuoa elementare hanno già costruito un'immagine di se stessi che porteranno nel gruppo. Immagine destinata a cambiare, ad evolversi, adattarsi, modellarsi piano piano, nel migliore dei casi fino a rappresentare l'identità autentica dell'adulto che sarà.
Qualche volta però accade che il bambino ha già un'etichetta addosso, attribuita dalla mamma, dal papà, dai nonni, dai cugnetti: dispettoso, disobbediente, cattivo, fragile, debole, pigro, egoista, noioso, schiappetta, tonto, intelligentissimo, forte, bravo, buono, educato...
Quando arriva per la prima volta a scuola, questa etichetta è l'unico bagaglio sicuro che ha con sé e farà di tutto per presentarsi tale al nuovo gruppo, ai nuovi adulti che non sono ancora quelli di riferimento. L'etichetta sarà il suo rifugio e come tale lo "salverà" dalle relazioni con gli altri. Questo "rifugiarsi" è normale ed è un sano meccanismo di protezione, che permette di accedere gradualmente alla vita sociale, facendo piccoli passi verso gli altri, verso il mondo al di fuori della casa e della famiglia.
In qualche caso però può aver inizio un circolo vizioso che passa per l'isolamento e sfocia nella rabbia così come nella depressione, nell'aggressività così come nella passività.
Allora l'aggressivo scaricherà la rabbia per la propria solitudine sul passivo che sopporterà, perché è convinto di meritare la punizione.
Il passivo, proprio per cercare la punizione, provocherà il carnefice, affinché reagisca e gli confermi il proprio status di vittima.
Io ci tengo molto a sottolineare che, quasi sempre, in una dinamica di bullismo nella prima infanzia, vittima e carnefice si somigliano, si individuano e si usano l'uno con l'altro al fine di rafforzare quell'imagine di loro stessi e confermare l'etichetta di cui sopra.
Tutto questo porta ad assumere posizioni, rivestire ruoli, adottare comportamenti standardizzati, che si ripetono con schemi e successioni precise, riconoscibili e prevedibili; tanto consolidate da non permettere alla vera identità dei bambini di emergere e di essere riconosciuta dai compagni.
E questo mancato riconoscimento non fa che produrre sofferenza e rafforzare ulteriormente i sentimenti di rabbia/tristezza di vittime e carnefici.
Ecco, come famiglia in senso allargato, abbiamo la responsabilità di non far sentire incastrati i nostri figli in rigide definizioni, in insindacabili giudizi; abbiamo la responsabilità di lasciare sempre aperta la porta alla speranza, alla possibilità, al cambiamento.
E soprattutto la responsabilità di comunicare loro tutto ciò che di bello sono, e non ciò che di bello o brutto fanno.
E la porta aperta siamo noi stessi, se tendiamo la mano, perché trovino un appiglio, un aiuto, un rifugio sicuro non dietro una maschera ma dentro una relazione.
(segue)
Leggi anche: Cos'è il bullismo?