A volte mi domando perché lo faccio, per quale motivo continuo a prendermela per tutto quello che di strano succede in ambito adottivo. Non starei forse meglio se iniziassi a fregarmene  accettandolo come inevitabile? Conformarsi ad un pensiero comune che vuole che le cose vanno in questo modo, punto e basta.

Vuoi mettere la serenità e la tranquillità del vivere quieto. Lasciare che tutto mi scorra addosso senza farci caso, senza prendermela e soprattutto senza farmi troppe domande.
Niente più articoli, libri e soprattutto basta con le testimonianze, le tavole rotonde, gli incontri e basta arrabbiature.
Silenzio e rassegnazione.
Ne guadagnerei in salute. Il gioco potrebbe valere la candela.
In fin dei conti tra le tante persone che ho incontrato molte mi hanno palesato il loro dissenso verso il mio modo di interpretare le cose e la mia volontà di approfondire.

“Anche se te la prendi cosa cambia?” mi ha detto recentemente un genitore adottivo.
Aveva un sorriso beato e mi sembrava veramente felice. Di certo stava meglio di me.
Forse aveva ragione. Forse non cambia nulla ad arrabbiarsi, a riportare situazioni incomprensibili, a raccontare episodi ed esperienze paradossali.

In questi anni di testimonianza ho ricevuto tante attestazioni di stima che mi hanno fatto bene al cuore, ma anche parecchie critiche. Mi sono fatto tanti splendidi amici ed un nutrito gruppo di persone che certo non mi ama. Non che
me ne importi poi molto, sia chiaro. Mi hanno insegnato che non si può piacere a tutti.
La domanda che mi ronza nella testa da qualche tempo, però, è “Ne vale la pena?”.

Non sarebbe più sano vivere semplicemente la mia vita senza entrare in quella degli altri? Non disturbare nessuno e nemmeno pretendere nulla dagli altri.
Forse ha veramente ragione quel tizio che mi consigliava di smetterla di arrabbiarmi perché comunque non cambia nulla. Lottare contro i mulini a vento è tanto nubile quanto inutile e decisamente patetico.

Non ho mai avuto la stoffa dell’eroe e nemmeno del paladino, mi sono sempre limitato a esprimere le miei idee senza la presunzione di renderle universali quanto piuttosto di confrontarle. La mia volontà è stata sempre quella di suscitare attenzione, proporre un dialogo, cercare di capire, evidenziare pregi e difetti. Sono solo un papà adottivo come migliaia d’altri che oltre a vivere pienamente la sua paternità ha provato ad aprirsi.
Non sempre questo viene capito ed altrettanto spesso accettato.

Qualcuno mi ha definito “un padre adottivo arrabbiato”.
Beh, ha visto veramente male.
Sono un papà felice ed un uomo discretamente sereno che non vuole nemici e nemmeno brama di farsene. Indignarsi di fronte ad episodi dolorosi e situazioni assurde non vuol dire essere un “arrabbiato”.

Non desidero organizzare crociate e nemmeno trasformarmi nel Beppe Grillo dell’adozione. Vivo le miei emozioni e faccio i conti con quello che accade, tutto qui. Poi, ognuno, reagisce in modo differente in base alla propria indole ed al proprio sentire.
 “Che te la prendi a fare?” mi ripete la voce di quel papà sereno.
 Già, che me la prendo a fare?

Magari sarebbe davvero corroborante mollare tutto ed adagiarmi nelle mie straordinarie comodità fatte di una famiglia bellissima e di un altro figlio che arriverà.
Tutto quello che c’è stato prima (e che arriverà) lo lascerò andare rilassandomi. Niente male!? Relax.
Basta discussioni con gli addetti ai lavori, basta incontri con gli altri genitori adottivi, basta scrivere, basta cercare di dare soluzione a domande insolute.
Basta nuotare contro corrente limitandomi a… a galleggiare.

Dovrei solamente digerire qualche sasso grosso come un macigno, accettare sorridendo situazioni balorde ed il gioco sarebbe fatto. Vivrei sereno (?) senza rompere più le scatole a nessuno. Farei di certo piacere ad un po’ di
persone e probabilmente anche a me.

Eppure nonostante questa disillusione che ogni tanto viene a trovarmi proprio non ce la faccio a mollare.
Non riesco a far finta che vada tutto bene, che sia tutto necessario ed utile.
Di fronte alle forzature di un sistema come quello delle adozioni che coinvolge i bambini (e non è mai banale ricordarlo) e i genitori (e non è mai banale ricordare nemmeno questi) mi sale un voglia infinita di discutere, confrontarmi, incontrare persone.

Chiedere spesso e semplicemente “Perché?”.
“Perché” spesso senza soluzione se non quella che risponde all’adagio “Le cose stanno così perché così vanno. Punto e basta”.
Come si fa a rimanere sereni di fronte a questa realtà? Come si può sorridere leggeri pensando che le cose potrebbe cambiare e non succede nulla?
Sono convinto che il mio modestissimo contributo valga davvero poco nell’universo adottivo eppure non posso fare altro che far sentire la mia esile voce uscendo da un silenzio che non riesco a fare mio.
Mi capita spesso di vedere le facce, sentire le voci, ascoltare le storie degli aspiranti genitori adottivi e di cogliere in loro molte delle miei emozioni.
Io che sono felicissimo genitore adottivo ed allo stesso aspirante tale di un figlio che verrà.

Come faccio a non partecipare alle gioie ed alle sofferenze di papà e mamme in attesa?
Come faccio a non chiacchierare con genitori adottivi che, seppur in modo differente, hanno vissuto la mia stessa esperienza?
Come faccio a non stupirmi (eufemismo) di fronte alle storture che affronto con la mia famiglia per arrivare ad incontrare mio figlio lontano?
Come faccio a rimanere impassibile di fronte ad occhi che si gonfiano di lacrime o sorrisi che si aprono luminosi?
Come faccio?

Nel corso del tempo ho fortunatamente ascoltato altre flebili voci di molti genitori adottivi ed ogni tanto quando si uniscono diventano un coro straordinario. Un piccolo coro, s’intende, di quelli che bisogna tendere l’orecchio per ascoltare perché non hanno grande cassa di risonanza.
Eppure è un coro corroborante e ti fa sentire meno solo se lo si vuole ascoltare.
Parlare, discutere, confrontarsi ed anche arrabbiarsi è esercizio straordinariamente utile. Testimoniare aiuta noi stessi dando voce a dolori senza nome ed allo stesso tempo può servire al cammino di chi ci sta accanto.

A mio avviso,tendiamo troppo spesso a vivere questa esperienza meravigliosa e durissima come privata ed esclusiva dimenticando che “nella nostra stessa situazione” ci sono altre migliaia di coppie.
Ignoriamo che le nostre parole possono essere d’aiuto ad altri, che la vicinanza nella durezza dei momenti può alleviare il dolore, che anche ascoltare qualcuno che ti dice che è giusto provare rabbia e delusione per ciò che stai vivendo ti può aiutare ad andare oltre, che non è una colpa indignarsi e lamentarsi.

Di fronte a tutto questo diventa meno difficile rispondere alla domanda di quel genitore.
“Anche se te la prendi cosa cambia?”
Cambia, cambia.

Articolo di Fabio Selini, autore del libro "Il padre sospeso", Casa Editrice Mammeonline
Foto di Arvind Balaraman

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