Come annota Graziella Priulla nel suo Parole Tossiche - Settenove 2014:
"Gli insulti sessisti dopo gli anni della rivoluzione femminista sarebbero dovuti scomparire, o almeno avrebbero dovuto perdere la loro potenzialità offensiva; invece sono ancora lì, immobili come gli stereotipi e i pregiudizi che li mantengono in vita. Siamo cambiati e siamo cambiate ma non più di tanto; anzi negli ultimi anni siamo tornati/e indietro, con un'involuzione di cultura e di riconoscimento di diritti. I nudi umani, le rappresentazioni esplicite e i riferimenti agli atti sessuali sono testimoniati presso la maggior parte delle civiltà della storia: non è questo il punto. Nessuna parte del corpo umano è impudica, impudico è lo sguardo di chi strumentalizza le parti del corpo separandole dalla persona."
È esattamente ciò che da anni si sottolinea e che si evidenzia quando si analizza tutto il bagaglio culturale fornito attraverso i media.
"La nostra civiltà vive all'insegna del sesso, ma l'insegna quando va bene è ideogramma, quando va male è pedissequo facsimile: i prodotti dell'industria culturale creano perfetti involucri di carne ma confondono il corpo con la sua icona. L'oggettivazione sessuale si esprime in una varietà di forme esplicite che lasciano trasparire una malinconica monotonia di fondo: dalle più pesanti, costituite dalla pornografia, alle più sottili dell'esposizione televisiva, il fenomeno invade la nostra quotidianità".
Una mercificazione dei corpi che ha contaminato e contraddistingue ogni ambito, compresa la politica.
Una fruizione da consumatori compulsivi, mancano il tempo e gli strumenti per lavorare a una sessualità matura e consapevole, che parta dalla percezione piena di sé, di valorizzazione dell'altro/a, di riconoscimento dell'altra persona, non come oggetto consumabile, ma come soggetto.
Giustamente Priulla rileva come sia maturata una sensibilità su razzismo e classismo, ma di fronte al sessismo linguistico siamo ancora a dir poco "disattenti". Eppure è su di esso che si tracciano le basi per le relazioni e in esso si perpetrano discriminazioni e disparità di genere.
Quando ne parlo con i ragazzi e le ragazze a scuola, mi soffermo sulla broda culturale nella quale siamo tutti/e immersi/e e che produce una serie di rappresentazioni statiche e stereotipate, che si tramandano di generazione in generazione.
C'è tuttora una sorta di sottovalutazione accompagnata a una assuefazione a un certo modo di raccontare, rappresentare, riferirsi.
Lessico che ha poco a che fare con la liberazione sessuale, quanto piuttosto a un reiterare di una subordinazione femminile, di un immaginario che ci allontana dalla parità e riafferma divari e ancora una volta forme di oggettivazione femmminile.
Perché dietro tutto questo c'è un obiettivo: ribadire e restaurare una supremazia, un dominio, un potere maschile, che sappiamo cosa comporta in termini di relazioni tra i sessi e di impostazione delle relazioni affettive e non.
Questi concetti e queste semplificazioni che regolano i rapporti umani vengono assimilati precocemente, dalla nostra infanzia.
Tanto che alla fine ci sembra la cosa più naturale etichettare, classificare, inserire in categorie. Non è naturale, è la cultura che ci induce a questa abitudine mentale e percettiva.
Priulla parla di una diffusa aggressività verbale tra i giovanissimi, la musica ne è solo un sintomo o un riflesso.
"I sex offender sono sempre esistiti, ma in questi ultimi anni si assiste a un incremento esponenziale di episodi che vedono protagonisti insospettabili adolescenti pronti a scaternarsi su una vittima isolata." Interessante è tenere insieme anche le forme più diffuse oggi di fruizione di materiale pornografico. "L'orizzonte esistenziale che ne deriva è misero, costellato di rapporti senza valore. Una cosa è fare un giretto sui siti di video sharing ad alto contenuto pornografico, un'altra è accettare la complessità fisica e psichica dell'erotismo. L'esito non voluto è l'impoverimento del desiderio; d'altronde una cosa preziosa, se è usata con leggerezza, perde valore. Una malintesa libertà ci ha consegnato una sessualità in cui il corpo non si fa segno di alcuna intersoggettività, dove non serve che l'intimità dell'altra persona sia attraversata perché la soddisfazione del godimento è a portata di mano e non richiede la fatica di una relazione."
Ciò che manca è ancora il punto di vista che viene dal femminile, che dia presenza ed esistenza non subordinata al maschile, al piacere all'uomo, al piacere dell'uomo, ma autonoma e articolata in modo relazionale paritario.
L'oggettivazione può giungere a farti sentire merce, commerciabile e consumabile, a legittimare il controllo delle donne, dei loro corpi, manipolandone desideri e aspirazioni, lavorando a nuove o secolari forme di oppressione.
Ho preferito lasciare la parola ad una esperta e a una studiosa come Graziella Priulla, perché interrogarsi su certi aspetti ha bisogno di argomentazioni solide, frutto di una indagine e di un'esperienza della realtà che vada a fondo dei fenomeni. Siamo così abituati a restare sulla superficie, in una zona che in qualche modo non intacchi i nostri capisaldi e punti di riferimento, che ci fanno sentire "a posto". Eppure, non si può eludere un discorso più articolato e vasto.
Quali variegate dimensioni riusciamo ad esprimere a proposito delle donne?
Quanto questa oggettivazione e attenzione ai corpi spersonalizzati, deumanizzati, privati di pensiero e di emozioni proprie e uniche, ha ricadute nel nostro quotidiano?
Quanto l'esistenza, il valore di una donna sia accettabile solo se bella, giovane, magra e "bombabile"?
La classifica "Figadvisor, dalla più alla meno bombabile”, "gentilmente curata" da un gruppo di studenti del Liceo classico Carducci, è solo l'ultimo dei casi balzati alla cronaca.
Leggiamo su l'Adige:
"Le ragazze, alle quali è stata riferita, hanno reagito subito ed hanno scritto una lettera di protesta appesa sulle porte della scuola e inviata anche al preside: «Inammissibile che esista un gruppetto che ti scruta, cancella la tua essenza e la sostituisce con un numero».
I responsabili - alle prese con quella che ritenevano essere una goliardata tra maschi - si sono scusati. «Noi? Ingenui e immaturi, non volevamo offendere nessuno» e hanno precisato «nessun elenco, solo parole riferite tra amici». Informato dell’accaduto anche il sovrintendente Vincenzo Gullotta: «La scuola dovrà insieme al dirigente verificare l’accaduto e parlare con i ragazzi coinvolti»."
Parlarne nelle classi "dopo" l'accaduto è già qualcosa, ma forse prevenire e parlarne prima che si sedimentassero certi modelli e un certo tipo di cultura sarebbe stato necessario oltreché auspicabile. Devono diventare interventi sistematici. Tutti/e siamo entusiaste della risposta: è assolutamente un fatto positivo che le ragazze abbiano reagito.
Ma è altrettanto urgente che ci si interroghi e se ne parli ben prima che si giunga a produrre azioni che ledono le ragazze, perché intanto l'offesa è stata esercitata e gli effetti innescati.
Perché evidentemente c'è un problema pesante nell'educazione di questi ragazzi e sulla percezione delle ricadute di ciò che per loro era una "goliardata".
Queste ragazze possedevano gli strumenti per comprendere e reagire a quanto si è verificato, ma sappiamo che non sempre è così, non è sempre semplice quando ci si trova ad essere bersaglio di body shaming e di tutte le altre forme di violenza.
Perché reagire presuppone una consapevolezza, una percezione di sé in quanto soggetto, portatore di diritti, con una propria dignità da salvaguardare, che pretende rispetto. Tutto ruota attorno al percepirsi e essere considerate solo come oggetto sessuale, essere giudicate unicamente sulla base della corporeità e di determinati "modelli" ideali di bellezza.
Conosciamo tutte le ricadute a livello di salute psicofisica di certe pressioni sociali.
Purtroppo la broda culturale di cui parlavamo prima spesso può produrre forme di auto oggettivazione e mettere la sordina alla capacità di vedere chiaramente come stanno le cose, smarrendo ogni rivendicazione di emancipazione, in materia di uguaglianza, per ottenere un proprio ruolo e posto nella società che non sia subordinato o per "gentile concessione maschile".
Esistere ed esprimerci in tutta la molteplicità del nostro essere donna, sbarazzandoci di ciò che è l'etichetta che ci viene assegnata, del ruolo che ci viene imposto, pur se si tratta di un processo di liberazione e di emancipazione faticoso.
Sappiamo quanto la libertà delle donne sia indigesta a tanti, sappiamo quante donne perdono la vita ogni anno per aver scelto la libertà e un cammino indipendente, per voler uscire da relazioni violente e opprimenti.
L'interruzione del ciclo della perpetuazione di certi meccanismi parte proprio dalla rottura di certe catene, dalla diffusione di una consapevolezza che non può essere scontata, ma ha bisogno di essere innescata e tramessa in qualche modo, il più precocemente possibile.
Lavorare sullo smantellamento della cultura patriarcale. A tale scopo, per comprendere in modo semplice e diretto il lavoro da fare, può essere utile partire da oggetti culturali, da una canzone, come per esempio il brano Antipatriarca della franco-cilena Ana Tijoux, che racchiude un po' tutti i livelli di consapevolezza sull'essere donna.
Un lavoro costante che parte innanzitutto da chi ricopre un ruolo educativo in famiglia e a scuola. Poi naturalmente, se c'è bisogno, ci sono tante attiviste disponibili a dare un sostegno. Io e Carla lo facciamo come volontarie, ogni anno, girando per le scuole medie e superiori.
Questo è il regalo che abbiamo ricevuto dai ragazzi e dalle ragazze della III B e III C della Scuola Media Statale 4 Giugno 1859 di Magenta. Il semino che abbiamo seminato con amore e cura ha germogliato, è fiorito e ha generato frutti. Grazie a tutto il corpo docente che hanno accompagnato questo percorso.
Ci riempie il cuore di speranza questo risultato.
Ci rende fiere dei messaggi che hanno espresso con questi cartelloni e con un video, che ci hanno emozionate.
Orgogliose di sapere che un pezzettino di questo cammino lo abbiamo fatto insieme e ci auguriamo che possiate proseguire con maggiore consapevolezza, osservando il mondo con occhi nuovi, capaci di costruire relazioni paritarie, lottare per i diritti e l'uguaglianza, liberi/e da stereotipi, pregiudizi, #controtutteleformediviolenzadigenere.
Grazie di cuore cari/e ragazzi/e!
Qui un assaggio del loro lavoro post laboratorio.
Immagine di copertina tratta dalla pagina FB di Nosotras estamos en la Calle