Intelligenza razionale ed intelligenza emotiva: il loro equilibrio ci può aiutare ad essere felici e a raggiungere il successo personale.
Le emozioni sperimentate quotidianamente fin dai primi mesi di vita sono essenziali, ed ognuna di esse in molteplici situazioni permette l’attivazione dell’organismo assolvendo ad una funzione adattiva. (Ekman, 1992).
La parola emozione deriva dal verbo latino “moveo”, cioè muovere, con l’aggiunta del prefisso “e” che significa “da”; il significato originario quindi fa capire come qualsiasi emozione provata sia caratterizzata da una componente proiettata all’azione. Il contesto socio-culturale di appartenenza influenza profondamente l’espressione delle emozioni da parte delle persone (es. Thompson, 1994).
Gli animali invece hanno una reazione istintiva e non autoregolata, non mediata dalla cultura; lo stesso avviene anche con i bambini molto piccoli.
In relazione alle emozioni nel 1985 è stato utilizzato il termine intelligenza emotiva per la prima volta, tratto dalla tesi di dottorato di W. Payne. Pochi anni dopo, nel 1990, gli psicologi P. Salovey e J. D. Mayer hanno definito l’intelligenza emotiva come la capacità che hanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle degli altri, discriminando tra i vari tipi di emozione e usando questa informazione per incanalare pensieri ed azioni (Salovey e Mayer,1990).
Successivamente il famoso psicologo statunitense Daniel Goleman (1995) ha ripreso il concetto di intelligenza emotiva rendendolo famoso; tuttavia egli ha attribuito un significato un po’ diverso da quello originario proposto dai due autori.
Nel suo libro “Intelligenza emotiva: che cos’è e perché può renderci felici” (2011) lo psicologo americano spiega che gli esseri umani posseggono due menti differenti tra loro, la mente razionale e la mente emozionale, ed ognuna è dotata di due diverse intelligenze. Esse interagiscono di continuo permettendo di comprendere e conoscere la realtà che ci circonda.
Mentre la mente razionale è coinvolta nella consapevolezza e nella riflessione ed è analitica, la mente emozionale è antica ed è istintiva non essendo mediata da alcun aspetto di riflessione. La mente emozionale inoltre permette l’identificazione di giudizi intuitivi ed emerge quando viene provata una forte emozione: in questa circostanza infatti l’equilibrio con la razionalità viene alterato e la parte analitica è letteralmente travolta dall’emotività.
Perciò è importante cercare di equilibrare le due menti, l’emozione ed il pensiero; ed è altresì importante dare valore alle emozioni.
Secondo Goleman l’intelligenza emotiva si fonda su 5 dimensioni, facenti parte della competenza personale (motivazione, autoconsapevolezza e padronanza di sé) e della competenza sociale (empatia e abilità sociali).
Precisamente Goleman definisce l’intelligenza emotiva come capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali (Goleman, 1995).
L’intelligenza emotiva quindi si rivela importante per raggiungere un buon equilibrio nella relazione con sé e con gli altri, nel rispetto di entrambi; è necessaria per comprendere le proprie emozioni e la loro origine permettendo di vivere intensamente più emozioni piacevoli e di elaborare in modo funzionale quelle più spiacevoli; è utile per affrontare lo stress in una modalità più adattiva, per un maggiore autocontrollo e senso di responsabilità, per una migliore capacità comunicativa e di ascolto empatico e di gestione delle relazioni interpersonali.
Inoltre, in ambito accademico, alcuni studi hanno dimostrato come l’intelligenza emotiva, oltre a quella razionale, si riveli davvero importante nel successo scolastico ( es. Sternberg, Wagner, Okagaki, 1993).
Nel migliore dei casi, sembra che il QI rappresenti solo il 20% dei fattori determinanti per il successo (D. Goleman).
Dagli autori presentati è possibile quindi capire come esista questo ulteriore tipo di intelligenza non razionale, una capacità identificabile nell’epigenetica umana: è quindi possibile svilupparla (o meno) in relazione al proprio contesto educativo e sociale (Goleman, 1995) e ciò è auspicabile avvenga progressivamente già dall’infanzia.
I bambini fin dai primi anni di vita imparano giorno dopo giorno ad accettare le proprie emozioni a dare loro un nome e a regolarle, cioè a viverle esprimendole in una modalità non nociva per sé stessi e per gli altri.
Questo avviene gradualmente tramite la relazione con gli adulti di riferimento, facilitatori di un lento processo di alfabetizzazione emotiva.
Oltre al dialogo e agli esempi concreti per educare alle emozioni i bambini può risultare molto utile utilizzare altri strumenti come letture di racconti, canzoncine, cartoni animati a tema, giochi, attività espressive come il disegno che riescano a coinvolgere il bambino (magari partendo dai suoi interessi personali).
Tuttavia non è mai troppo tardi per incrementare l’intelligenza emotiva nelle sue 5 dimensioni ovvero:
Può essere utile:
Fonti di riferimento:
- Ekman, P. (1992). An argument for the Basic Emotions, Cognition and Emotion, 6, 175
- Goleman, D. (1995). Intelligenza Emotiva che cos'è e perché può renderci felici, Rizzoli
- Goleman, D. (2011). Intelligenza Emotiva che cos'è e perché può renderci felici, Rizzoli
- Salovey, P., Mayer, J. (1990). Emotional Intelligence, Immagination, cognition, and personality, 9 (3), 185-211.
- Sternberg R.J., Wagner R.K., Okagaki L. (1993). Practical intelligence: The nature and role of tacit knowledge in work and at school. In H. Reese, J. Puckett (Eds.), Advances in lifespan development, 205-227. Hillsdale (NJ): Lawrence Erlbaum Associates.
- Thompson, R. A. (1994). Emotion regulation: a theme in search of definition, the development of emotion regulation: Biological and Behavioural considerations, (a cura di) Fox N. A., Monographs of Society for Research, Child Development, 59, 372-472.