L’ansia in ambito scolastico è provata dagli studenti soprattutto in relazione ad una specifica materia: la matematica.
L’ansia è descritta come “un’emozione che anticipa il pericolo in assenza di un oggetto chiaramente identificato” (Nisita e Petracca, 2002).
È provata frequentemente sia dagli adulti che dai bambini ed è presente già dal primo anno di vita in relazione alla separazione dal genitore.
A livello biologico l’ansia attiva il sistema nervoso autonomo e numerose zone del cervello, rivelandosi adattiva se presente in quantità non troppo elevata: infatti attiva l’intero organismo permettendogli di essere reattivo verso potenziali stimoli pericolosi e mantiene l’arousal (attivazione) nel momento in cui deve essere eseguito uno specifico compito.
In base al livello provato l’ansia può essere considerata adattiva oppure disadattiva: in ambito scolastico, ad esempio, l'ansia adattativa attiva l’alunno nel momento in cui deve affrontare una verifica e lo incentiva a mettersi alla prova per sfidare sé stesso e per migliorare le proprie competenze.
L'ansia disadattiva invece induce uno stato di malessere, sofferenza e si rivela disfunzionale per gli obiettivi da raggiungere, come la risoluzione di un compito in classe.
E’ importante ricordare che in ambito scolastico l’ansia è una delle emozioni più analizzate dai ricercatori poiché appunto è collegata al possibile insuccesso nelle prove e al conseguente giudizio negativo che potrebbe derivarne; non solo l’ansia sembra avere ripercussioni significative sulla prestazione degli studenti ma incide anche sulla loro motivazione (es. Ashcraft 1995).
Differenze individuali a parte, molte ricerche dimostrano che l’ansia in ambito scolastico è provata dagli studenti soprattutto in relazione ad una specifica materia: la matematica.
Numerosissime persone infatti riportano esperienze negative con questa materia già dalla scuola primaria, indipendentemente dal livello sociale ed economico (Jackson e Leffingwell, 1999; Wigfield e Meece, 1988).
Tanti studenti percepiscono una reazione emotiva avversa alla matematica o alla prospettiva futura di eseguire compiti che la riguardano e sono preoccupati di poter fallire (Richardson e Woolfolk, 1980); essi provano inoltre tensione e addirittura paura e il loro stato emotivo va ad interferire con le prestazioni matematiche (Ashraft, 2002).
Le autrici Maloney e Beilock (2012) annoverano la predisposizione cognitiva del bambino e l’influenza sociale tra i possibili fattori scatenanti dell’ ansia verso la matematica, presenti già dalla scuola primaria.
In relazione al primo fattore Beilock e colleghi affermano che se il bambino inizia la classe prima della scuola primaria con delle lacune relative ai concetti fondamentali essenziali per la successiva conoscenza matematica allora sarà molto più predisposto ad essere influenzato socialmente. Le “mancanze” di base tuttavia non sono dipese solo da fattori personali e contestuali, ma anche genetici: un team di ricercatori dell’University medical Center, guidati da Finken (2015), ha infatti scoperto di recente che anche la genetica aiuta a veicolare quanto un bambino sarà bravo nelle discipline come l’aritmetica e la geometria.
Il livello di un ormone tiroideo detto tiroxina deve sempre essere disponibile durante la gravidanza, essendo essenziale per il corretto sviluppo del corpo e del cervello del bambino.
In relazione a tale ormone materno i ricercatori hanno analizzato lo sviluppo di un campione di 1196 bambini dalla nascita all’età scolare e hanno notato che i bambini che avevano la madre con bassi livelli di tiroxina alla fine del primo trimestre di gravidanza erano almeno due volte più predisposti ad avere risultati sotto la media nei test di aritmetica.
Per quanto riguarda l’influenza sociale, il secondo fattore, le autrici sostengono come gli insegnanti svolgano un ruolo molto importante in relazione all’ansia da matematica: un insegnante che si rivela ansioso verso le abilità matematiche dei bambini sarà più predisposto ad influenzare con emozioni disfunzionali molti suoi studenti.
Tra i fattori scatenanti Butterworth (1999) propone anche la cultura di appartenenza, nonché la lingua madre acquisita.
Alcune lingue come quella Giapponese o Cinese rendono il sistema decimale molto più comprensibile (es. undici è semplicemente dieci uno); è possibile notare infatti come i bambini di queste nazionalità spesso risultino abilissimi in matematica.
Wigfield e Meece (1988) affermano che è davvero importante poter identificare precocemente l’ansia in matematica in quanto questa è “come una palla di neve”, che aumenta sempre di più le emozioni disfunzionali verso la matematica.
In uno studio gli autori Lyons e Beilock, 2011, hanno dimostrato che se soggetti ansiosi per la matematica utilizzano alcune strategie finalizzate a regolare le emozioni disfunzionali è possibile aumentare i buoni risultati in matematica.
Una strategia utile consiste nel comunicare agli studenti ansiosi che le loro reazioni fisiologiche provate durante gli stati d’ ansia, come le mani sudate o il battito cardiaco accelerato, possono rivelarsi utili per supportare il pensiero ed il ragionamento (Jamieson, Berry Mendes, Blackstock e Schmader, 2010). In relazione a questo gli studi dimostrano che maggiore è l’intensità della reazione fisiologica dovuta all’ansia di fronte ad un test di matematica, migliore è poi la prestazione che ne deriva (Mattarella-Micke et al., 2011).
Un’altra strategia interessante considerata molto efficace per regolare le emozioni disfunzionali è la scrittura espressiva (Maloney e Beilock, 2012). Ramirez e Beilock (2011) hanno proposto ad alcuni studenti molto ansiosi appartenenti alla scuola secondaria di secondo grado di esternare sul foglio le loro preoccupazioni presenti prima di un test scolastico: gli studenti in seguito hanno registrato una valutazione alla prova nettamente migliore, passando dal voto B- al voto B+. La stessa cosa accade verso l’ ansia per la matematica: si è visto infatti che se gli studenti scrivono ciò che li preoccupa nelle situazioni che coinvolgono la matematica allora la loro prestazione ne risentirà positivamente (Park et. al., 2011).
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