La scuola è di tutti, un concetto apparentemente banale o al contrario altisonante. Dipende dalla visione che ciascuno ne ha. Vi racconterò la mia esperienza, cominciando da oggi ed esprimerò la mia opinione.
Ringrazio di cuore, per questo, la redazione di mammeonline.
Parleremo di scuola, non in modo noioso, lo prometto!
Cos’è la scuola?
Partendo dalla cognizione che fino ad oggi, novembre 2018, ne abbiamo avuto e ancora ne abbiamo, devo tristemente dire che: è in primis un luogo diverso da ogni altro, unico nella sua fattispecie; la scuola è la scuola così come l’ospedale è l’ospedale, con i ruoli incasellati o meglio preposti che ha chi partecipa alla sua esistenza.
E senza filosofeggiare troppo, tirando le somme, è una istituzione (vorrei aggiungere Sacra, ma ometto).
È il luogo dove i bambini apprendono le regole scientifiche, logiche, grammaticali, musicali e chi più ne ha più ne metta, del mondo.
Detto terra terra è il luogo delle aspettative: i bambini immaginano un mondo incantato di nuove esperienze positive, i genitori che i propri ‘tesori’ imparino a fare tante cose nuove.
I docenti che possano ‘trasformare’ i propri alunni ed esserne fate o maghi di crescita e di nuove conquiste cognitive, per gli amministratori dei territori la scuola è motivo di orgoglio e abbattimento della dispersione scolastica; infine, per i ministeri, essa è una istituzione da difendere e tenere sempre a livelli competitivi rispetto al mondo intero.
Più o meno in modo molto sommativo e poco analitico, questo è. E questo dovremmo tenerci.
Le cose però non sempre vanno per il verso giusto e, invece che assolvere a tutte queste funzioni, a dare prodotti eccezionali, troppo spesso la scuola diventa trincea di malcontenti da ognidove, di prove Invalsi andate a piedi in aria, di tragedie da far west tra adulti, tra adulti e ragazzi e stendo un velo pietoso sul nefasto elenco.
Non sono negativa e provo positivamente a non fare di tutt’erba un fascio perché…
Per fortuna tante sono le innovazioni che arrivano da teorie pedagogiche sperimentali e sperimentate, da ricerche sociali eccezionali, da percorsi di cambiamento della didattica a partire da piccole scuole alle università fino a centri di studio mondiali.
Tanti piccoli semi di speranza vengono implementati e tanti passi verso nuovi orizzonti educativi si fanno strada ogni giorno nella scuola, negli educatori, nelle dirigenze, tra ministri, creando nuove possibilità più vicine ad esigenze di ognuno e di ciascuno.
Eppure… Qualcosa ancora non va.
Osservate una cartolina di una classe di scuola elementare di inizio secolo ed osservate una foto di una classe di scuola primaria di oggi. Salvo pochissime eccezioni, poco è cambiato. Ah, forse i banchi erano di legno massello in quella antica e oggi sono di lamellare (o non ricordo come si chiama quel foglio di plastica incollato).
C’è che nell’80% la maestra è seduta davanti a tutti i banchi o magari sono divisi in banchi ‘studio' da sei bambini ma l’impostazione, pur non essendo più gerarchica in senso lato, non è certo circolare.
Ci sono le porte aperte in alcuni giorni, ci sono i colloqui in certe ore, ci sono regole per ogni persona che frequenta la scuola: bambini, docenti, genitori, collaboratori, dirigenti, ecc…
Regole non discusse e neanche discutibili.
Quasi nessuno è felice.
Più che altro chi frequenta la scuola o chi le affida i bambini non è tranquillo. C’è una certa agitazione. Se ci fate caso le mamme prima che i bimbi entrino fanno raccomandazioni del tipo “stai attenta/o” e non intende quasi mai l’attenzione cognitiva, ma l’attenzione alla sicurezza nelle relazione con altri bambini.
Le/ i docenti prima di varcare la soglia almeno tre volte al mese (voglio essere buona) sentono un peso grande nell’aprire l’uscio e non è un peso strutturale.
Gli stessi dirigenti sono chiusi nei report di rendicontazione e non ricordano più neanche i nomi dei pedagogisti che li hanno portati fin là.
Insomma, un po' di traballamento c’è. E nella percentuale quasi totale possiamo dire che, spesso non è un luogo dove si vuole restare, ma si cercano date rosse nel calendario per poterla evitare.
Personalmente ne ho dedotto una teoria semplice, semplice, ma efficace a far capire il senso delle mie parole: la scuola di oggi è frequentata ma non abitata e a poco servono milioni di euro spesi a migliorarne l’aspetto edile e architettonico. Non è un fatto solo estetico o strutturale.
Cosa si fa? Chi lo fa? Da che cosa dipende?
Quando mi sono trovata a poter avverare il mio sogno, ventiquattro anni fa, e ho cominciato ad insegnare, queste sono le domande che mi sono posta e per rispondere a queste domande ho lavorato, lavoro e lavorerò.
La scuola dove lavoro ha una caratteristica: non è frequentata, ma è abitata.
Chi ha scelto questa scuola (di solito i genitori), sa che deve impegnarsi a costruire, insieme a noi, un percorso adeguato al proprio bambino.
L’Adulto educante non resta lontano, fuori da scuola (troppo comodo).
Può entrare chiedere, parlare, partecipare. Il bambino non è nervoso, si sente sicuro.
Il territorio ci apre le porte a musei e natura supportandoci, credendo in noi, perché è dentro il progetto, ma non per farci belli e preparati, ma per fare sentire il territorio come habitat da esplorare e l’outdoor school non è più solo il giardino, ma tutto quello che c’è fuori.
Niente di nuovo, mi direte, tutti vanno nella scuola dei propri figli, tutte le città si adoperano per accogliere i bambini al di fuori della scuola.
Ma vi assicuro che la scuola abitata ha qualcosa che la diversifica dal resto delle altre scuole.
La scuola è di tutti.
E insieme è possibile costruire quel sistema in cui ognuno può sentirsi appartenere. Nessuno ha valenza maggiore nel cerchio perfetto che essa crea, perché se ci pensate bene cosa se ne fa un Ministro senza bambini?
Ve ne parlerò in questa rubrica, perché desidero che tutte le scuole possano subire la trasformazione che passa dall’essere frequentata all’essere abitata.
E a cambiarla sarà ciascuno di noi.