Quante donne dovranno morire ammazzate perché il femminicidio smetta di avere solo un nome e trovi in azioni concrete e in comportamenti coerenti un oppositore serio?
Dalla politica ci intortano con programmi e progetti per interventi legislativi che non vanno oltre i proclami se non, addirittura, venire totalmente disattesi con provvedimenti contraddittori, come i tagli ai centri antiviolenza e ai consultori pubblici.
Dalla società civile e dalle istituzioni ci bombardano di suggerimenti che hanno la pretesa di insegnare alle donne come non finire nelle trappole di uomini sbagliati, come riconoscere i segnali, come uscire dalle gabbie di violenza, come se bastasse un manuale di istruzioni per modificare culture distorte e radicate che continuano a diffondersi quasi indisturbate generazione dopo generazione.
La cultura del possessore e della posseduta, che non può essere eradicata senza una riforma delle fondamenta, una riforma che non si preoccupi solo di difendere le vittime, bensì si sforzi in modo serio e incondizionato nell'invertire la tendenza di una cultura arcaica e dannosa.
Penso a interventi istituzionali che guardino finalmente ad una educazione di genere nelle scuole, senza più se e senza più ma, mettendo definitivamente a tacere tutti gli invasati del gender e lasciando le religioni e le teorie morali e moralizzanti FUORI, ma completamente fuori, dalle scuole pubbliche, procedendo all'applicazione di una legge che esiste e che viene disattesa per colpa di queste infondate e ignoranti paure: il rispetto per i diritti umani, lo studio delle culture e delle civiltà, i concetti di parità di genere propinati persino più della grammatica, la sessualità, l'abbattimento delle disparità e lo studio e il rispetto della nostra costituzione, che queste cose le dice tanto bene fin dal 1948.
Non servono altre leggi, le normative ci sono, persino a livello europeo e mondiale: serve che siano applicate.
Le pene possono essere un deterrente, ma servono a poco se non cambi le teste e questa cultura maschile del possesso. Senza contare che spesso gli assassini di donne si ammazzano a loro volta, e la pena resta una chimera.
A livello personale dobbiamo obbligarci ad analizzare i nostri comportamenti e atteggiamenti, il nostro vocabolario quotidiano e prestare un’attenzione maniacale verso i messaggi che trasmettiamo ai figli e alle figlie. Dobbiamo rifiutare tutti quegli atteggiamenti misogini che pervadono il nostro quotidiano e che continuiamo a considerare innocui, in casa, sul lavoro, nella società, che sono gli stessi che poi definiscono i comportamenti soppressivi e violenti verso le donne.
Siamo invase da modelli che ci vogliono tenere attaccate come ventose malate alla famiglia “tradizionale”, e quella tradizione è una tradizione pessima, perché la nostra tradizione è quella della famiglia patriarcale, dove il ruolo femminile è subordinato e inferiore a quello maschile: l’uomo che porta i pantaloni, la pagnotta, il modello educativo e i ruoli.
Non è solo la mentalità maschile ad essere maschilista. Una donna che denuncia è già sottoposta a un processo dalla società, anche quella femminile.
Una donna che non si attiene ai canoni del suo ruolo primario di moglie e madre è sottoposta al giudizio delle mogli e madri migliori e al suo stesso implacabile giudizio: se le donne potessero aprire conti correnti di sensi di colpa, sarebbero la prima potenza economica mondiale.
Siamo noi a mantenere nella società questa impronta dove l’uomo possiede la donna e ne decide le sorti. Determiniamo il filo di un destino che si compie, nel migliore dei casi, nella rinuncia all’autoaffermazione e, nel peggiore, al compimento della massima espressione di questo possesso.
Ogni volta che giudichiamo una donna per aver abdicato al ruolo sociale comunemente accettato, commettiamo una violenza di genere.
Ogni volta che diciamo a un figlio “questo lo dico a tuo padre, poi ci pensa lui”, affermiamo due cose di fronte ai nostri figli: la supremazia del padre e la mancanza di ruolo educativo della madre.
Ogni volta che ci sentiamo in dovere di preparare il caffè durante una riunione, riaffermiamo il nostro ruolo di donne al servizio.
Ogni volta che acquistiamo un prodotto la cui pubblicità offende le donne, diciamo che, in fondo, non ci riguarda.
Ogni volta che diciamo a una figlia di stare attenta a come si pone, le stiamo dicendo che questa responsabilità è delle donne, non degli uomini che stuprano, sottomettono e ammazzano.
Cominciamo noi a darci un valore differente, a rilevare e far rilevare tutte quelle disuguaglianze di genere che sono le cause primarie della violenza di genere, e il primo luogo dove questo può e dovrebbe avvenire è proprio la famiglia: analizziamo le condizioni che reggono l’impianto familiare e chiediamoci se sono un buon esempio per i nostri figli e le nostre figlie.