Ci sono posti che noi mamme in provetta ci troviamo costrette ad occupare abitualmente, luoghi che ci diventano, nostro malgrado, famigliari e, delle volte, persino accoglienti. Uno di questi è la sala d'attesa dei reparti dove inseguiamo la nostra mission impossible.
All'inizio non è facile: ogni volta che varcavo la porta di quel reparto, dove troneggiava la scritta asettica "Centro Sterilità di Coppia", così che non ci fosse possibilità di sbagliarsi, ogni volta pensavo che non stava davvero capitando a me. No, non potevo essere io a trovarmi lì, io che avevo sempre desiderato una bella famiglia numerosa... Io che avevo sempre adorato i bambini... Io che mi ero sempre sentita così materna... Centro Sterilità di Coppia...
Ma varcare la soglia di quei reparti non ti lascia molto scampo: sta capitando a te.
Nel corridoio dove soggiornavamo durante le lunghe attese, le pareti erano tappezzate di foto: ovunque foto di neonati venuti al mondo non grazie a un romantico volo della cicogna, ma grazie a terapie, botte di ormoni e provette. Albert li chiamava "i bio-bimbi", era il suo modo poetico di definire quei bambini nati grazie al progresso della medicina e della biologia.
I bio-bimbi erano davvero tanti, qualcuno era arrivato single, altri, parecchi altri a ben guardare, si erano presentati in doppietta e persino in tripletta ché, si sa, quelle procedure a volte possono farti la sorpresa di regalarti una mini tribù.
Le foto dei bio-bimbi sono quasi sempre accompagnate da lettere e accorati bigliettini di ringraziamento da parte dei genitori: col tempo posso dire di averli letti tutti. Si elogiava la bravura di medici e infermieri, si esortavano le altre coppie a non mollare, si raccontava di cammini lunghissimi coronati però da una felicità immensa.
Anche i volti che incontri in quei corridoi ti diventano famigliari: dopo un po' cominci a vedere le stesse facce, le stesse coppie, le stesse donne in attesa di un monitoraggio e, anche senza scambiarsi nessuna parola, ci si capisce con uno sguardo. Siamo tutte lì per quello, siamo il variopinto esercito delle mamme in provetta, in attesa del nostro bio-bimbo, o Tiratardi che dir si voglia...
Insomma, col tempo ho imparato a entrare più o meno serenamente in quel reparto. La scritta che troneggia là sulla porta non l ho più letta e, delle volte, in attesa del mio turno, sono riuscita persino a lavorare, munita di tablet e rasserenata dai paciottosi sguardi dei bio bimbi che mi spiavano da quelle foto.
E non era più così terribile.