Vogliamo dare voce e diffusione alla lettera scritta da Rosalinda Gianguzzi, pedagogista, in risposta all'intervista rilasciata dal Ministro Gelmini: grazie Linda per aver dato voce alle mamme e alle donne lavoratrici, oramai la nostra indignazione ha raggiunto il limite! Come Mammeonline sottolineiamo e condividiamo ogni tua parola.

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Gentile Ministro Gelmini
L’altro giorno, leggendo l’intervista da Lei rilasciata al Corriere della sera, in cui dichiarava che L’ASTENSIONE OBBLIGATORIA DOPO IL PARTO è un privilegio, sono rimasta basita.
Che d’educazione Lei capisca ben poco risulta lampante da tempo anche a chi non ha conseguito una
laurea in pedagogia (che io possiedo e lei no) o tre corsi post laurea (che io possiedo e lei no), visto quello che sta combinando alla scuola statale.

Ma ci si illudeva che almeno capisse qualcosa di legge, essendo lei avvocato (ed io no).

Certo, il fatto che Lei, ora paladina della regionalizzazione, si sia abilitata in “zona franca” (in quel di Reggio Calabria), perché lì la cosa era “più facile” (come da lei affermato con una “ingenuità” francamente imbarazzante), lo lasciava ampiamente supporre.
E, allora, prima le faccio una piccola lezione di diritto, e poi parleremo d’educazione.

L’astensione dopo il parto, sulla quale Lei, oggi, con tanta leggerezza disputa e sputa, nonè una gentile concessione, ma un diritto insindacabile e non negoziabile che si colloca nel novero dei numerosi diritti per i quali donne molto più in gamba di Lei e di me hanno combattuto strenuamente, a tutela delle lavoratrici madri.

Altra cosa, invece, è il congedo parentale, di cui si può usufruire, a partire dai primi tre mesi di vita del lattante e fino al compimento degli 8 anni, per un totale di 180gg, di cui i primi 30 retribuiti al 100% (al 30% se “spesi” entro i primi 3 anni di vita del bambino e non retribuiti, invece, se fruiti oltre il limite dei 3 anni).

Il discorso, ovviamente, vale se parliamo di “lavoro”, nella sfera del quale sono riconosciuti i diritti succitati: per le persone come lei, con un reddito di oltre 150.000 euro l’anno, pari quasi a quello del governatore della California, Arnold Schwarzenegger, parlare di “retribuzione” è risibile (ma il riso è molto amaro).

Ovviamente lei non può immaginare - perché può permettersi tate, tatine e nido “aziendale” al ministero, che LA GENTE NORMALE, che lei dice di capire, debba fare i conti con file d’attesa interminabili per nidi insufficienti e con costi per “baby sitter” superiori al proprio stipendio.

Voglio dirle una cosa però, consapevole che le mie affermazioni susciteranno più clamore delle sue, DA PEDAGOGISTA E DA ESPERTA: affermo che usufruire dell’astensione OBBLIGATORIA è un DOVERE morale prima che sociale. Come vede ho più volte insistito sull’obbligatorietà, che già di per sé dovrebbe suggerirLe qualcosa.

Ma mi spiego meglio: Lei, come tante donne, crede che l’essere madri “biologicamente” (nel suo caso solo da 10g, anche se Lei ben prima di diventarlo era già una luminare della pedagogia del luogo comune), determini di per sé l’acquisizione delle competenze necessarie a pontificare sull’educazione e lo sviluppo del bambino, temi ai quali grandi studiosi hanno dedicato anni di studi.

Ma io Le comunico una notizia-bomba: per parlare di pedagogia (oggi chiamata più propriamente SCIENZA DELL’EDUCAZIONE), bisogna avere competenze specifiche, che, per quanto si evince dalle sue dichiarazione non possono esserLe certo attribuite.

Le potrei parlare della teoria sull’attaccamento di Bowlby, dell’imprinting, e di altre categorie e funzioni etologiche, ma non voglio confonderLe le poche e ben confuse idee che possiede, per cui La rimando ad esempi facilmente accessibili.

Basta guardare il regno animale, infatti, per rendersi conto del fatto che le mamme non si allontanano mai dai piccolini e che dedicano loro attenzione e cura massime FINO ALLO SVEZZAMENTO (che per i bambini si verifica dopo 5 mesi dalla nascita).

Non è una legge dell’uomo: è della natura. Fare un figlio, infatti, implica delle responsabilità precise: è una scelta di vita CHE, SE CAMBIA IL COMPORTAMENTO ANIMALE, A FORTIORI DEVE CAMBIARE LA VITA DEI GENITORI.

Sbaglia chi crede che l’arrivo di un figlio non debba comportare cambiamenti nella propria vita. Un bambino non chiede di nascere; fare un figlio non è un capriccio da togliersi, ma una scelta che implica dono di sé e del proprio tempo.

Non sono i figli che devono inserirsi nella nostra vita: siamo noi che dobbiamo cambiarla per renderla conforme alle loro esigenze. Se non facciamo questo, rischiamo di condizionare negativamente la crescita dei bambini, che potrebbero crescere privi di autostima e con scarsa sicurezza nei propri mezzi, affamati di quelle attenzioni, che avrebbero dovuto ricevere nel momento in cui ne avevano massimo bisogno, cioè nei primi mesi di vita.

L’idea che non capiscano, che non percepiscano, ad esempio, la differenza tra un seno materno e il biberon della tata, è solo nostra. Con ciò non si vuol certo dire che tutti bambini allattati artificialmente o i cui genitori tornano subito a lavoro, saranno dei disadattati, ma bisogna fare del nostro meglio per farli crescere bene, come quando in gravidanza si assume l’acido folico, per prevenire la “spina bifida”.
I bambini hanno nette percezioni, già nel grembo materno. L’idea, ad esempio, che se piangono non si debbano prendere in braccio “perché si abituano alle braccia”, è un luogo comune.

Le “abitudini” maturano dopo i 6 mesi; fino ad allora è tutto amore. Non è un caso che studi recenti abbiano riabilitato il cosleeping, (dormire nel lettone), e che i migliori pediatri sostengano l’opzione dell’allattamento a richiesta.

Il volere irreggimentare i bambini, il volerli inquadrare, come soldati, già dai primi giorni, non è solo antisociale - perché una generazione cresciuta senza il rispetto dei suoi ritmi di crescita può essere inevitabilmente compromessa -, ma è al di fuori delle più elementari regole umane e naturali.

Possiamo poi discutere del fatto che molto spesso le donne sono costrette a ridurre il loro apporto affettivo perché non possono rimanere indietro in una posizione lavorativa faticosamente conquistata, ovvero del fatto che tornare a lavorare per molte donne è una necessità. Ma riguardo a ciò dovrebbe intervenire massicciamente lo Stato, e non certo con affermazioni come le sue.

Mi rendo conto, che il suo lavoro Le permette di lasciare la bambina, di rilasciare interviste di cui né noi né altri sentono la necessità), e di tornare poi da Sua figlia; ma ci sono lavori che richiedono tempo e fatica fisica e mentale, entrambi a Lei sconosciuti, e che sarebbero inevitabilmente tolti al neonato, che ha bisogno di una mamma “fresca”, che gli dedichi la massima attenzione.

Noi donne, infatti, siamo chiamate a trasformarci in “Wonder Women”, e necessariamente diveniamo vittime della sindrome da sovraffaticamento.
Non si può dire, poi che è più importante la qualità che la quantità, per due ordini di motivi:

1) Perché la qualità del tempo di una donna madre da pochi giorni che rientri nel tritacarne della routine quotidiana e che si trovi a gestire il nuovo carico di responsabilità che il neonato comporta, può essere fortemente compromessa.

2) Perché un bambino non dovrebbe scegliere tra qualità e quantità, almeno nei primi mesi: dovrebbe avere entrambi. Per non parlare poi del fatto, che se un genitore non può permettersi qualcuno che gli tenga il bambino in casa, negli spostamenti, etc., lo esporrà, con un bagaglio immunologico ancora carente, a sbalzi di temperatura o agli inevitabili rischi di contagio presenti in un nido.

Infatti, è scientificamente provato che i bambini che vanno al nido troppo presto o che non vengono allattati al seno sono più soggetti ad ammalarsi, con danno economico sia per le famiglie che per il sistema sanitario.
Si può obiettare, per carità, che ci sono bambini che si ammalano anche in casa, ovvero che succeda anche ai bambini allattati al seno, ma sarebbe come dire al proprio medico che, essendoci in famiglia un nonno fumatore vissuto 100 anni, resta dimostrato che il fumo non fa male!

Bisogna dunque incentivare i comportamenti da genitore virtuoso anche con la consapevolezza che i bambini non sono funzioni matematiche, e che si può fare molto per favorire una crescita armoniosa già dalla prima infanzia, se non addirittura dalla gravidanza.

E allora Le domando, Signora, Ministro senza alcun merito, di svolgere il suo ruolo istituzionale importante con maggiore serietà, cercando di evitare “sparate” fuori luogo come quella oggetto di questa contastazione (equiparabile a quella dell’ineffabile Bossi, relativa alla convinzione che studiare non è poi così importante, come dimostra la brillante “carriera” politica del figlio Renzo!) e mostrando maggiore consapevolezza del suo essere una “miracolata”.

Proprio come tale, anzi, Lei dovrebbe impegnarsi nello studio e vagliare attentamente ciò che afferma, per evitare cadute di tono e stile, nonché dichiarazioni irritanti e capaci di fomentare ostilità, con grave danno per il paese e per la scuola.

Qualcuno ha pensato che, tutto sommato, il suo è un ministero poco importante, e che porre alla sua guida un giovane ministro senza competenze specifiche “non poteva arrecare grossi danni”, soprattutto se il ministro avesse obbedito ciecamente ai dettami del Tesoro; Lei, però, con la sua presunzione di voler parlare di cose che non conosce, sta adirittura contribuendo allo sfascio delle generazioni future mettendoci del suo!

Un’ultima cosa: Lei che di privilegi se ne intende bene, impari ad usare questa parola con maggior pudore!
Rosalinda Gianguzzi

Ritratto di Redazione

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